Il caso della diossina nelle uova provenienti dalla Germania, ha posto nuovamente sotto i riflettori la questione delle etichettature dei prodotti alimentari, con la tracciabilità della provenienza. Per le uova, come abbiamo spesso sottolineato, tutto ciò esiste già. Il problema è l’interpretazione dei codici stampati ben bene su ogni singolo uovo. La spiegazione di questi è nelle stesse scatole e confezioni, che però come sappiamo vengono buttate rigorosamente nella spazzatura, magari senza neppure differenziarla. Cerchiamo allora di capire bene l’importanza di questo sistema alfanumerico partendo dai dati della foto.
Come vedete, la primissima cifra che può andare da 0 a 3, indica la tipologia con cui viene allevata la gallina ovaiola. C’è poi la scritta IT, la più facilmente comprensibile: indica la nazione di provenienza delle uova. Da noi il rischio è minimo, perché le uova che acquistiamo vengono nel 99% dei casi dall’Italia. Comunque se trovate il codice DE, segnalate pure tale prodotto alle autorità per un controllo. Questo perché indica la Germania come provenienza. Il problema permane per quell’1% di prodotti finiti che hanno alla base degli ingredienti l’uovo (come la pasta, i dolci, i biscotti ecc.). Sull’uovo troviamo poi tre cifre che indicano il comune di allevamento e subito dopo la provincia (nella foto VR) di appartenenza. Gli ultimi tre numeri indicano addirittura l’allevamento in cui l’uovo è stato prodotto.
Come vedete la tracciabilità è capillare: questo perché l’uovo può trasmettere anche alcune importanti malattie, come la salmonella ad esempio. Se vi recate in un ospedale con dei sintomi gastroenterici particolari e la febbre vi faranno il test e di sicuro vi chiederanno cosa avete mangiato e dove avete acquistato i prodotti, in primis le uova. Tale sistema permetterà dunque di risalire ad ogni singolo focolaio di infezione. A questo proposito, vorrei tornare al primo numero sul codice stampato dalle uova: quello che indica la tipologia dell’allevamento, a cui a mio modesto parere occorre prestare particolare attenzione. Il perché ce lo spiega da anni la LAV (Lega Anti Vivisezione).
Il 90% delle uova che noi mangiamo è prodotto da galline ovaiole in batteria. Ciò significa che si trovano in gabbie larghe quanto un foglio A4, stipate una sopra all’altra in condizioni igienico sanitarie precarie tenute sotto controllo con farmaci ed antibiotici. Tale sistema di allevamento è stato vietato a partire dal prossimo anno, ma questa scadenza, come molte altre sembra essere destinata purtroppo ad infinite proroghe. Le galline sono tenute in condizioni pazzesche e le loro uova come saranno? Lascio a voi la risposta, invitandovi a prestare attenzione dunque. Scegliete con consapevolezza: il codice 1 indica l’allevamento all’aperto dove le galline dispongono di un’area coperta e possono accedere alla luce del sole respirando aria fresca. Il codice 2 indica allevamenti a terra. Le galline possono razzolare, ma in un ambiente limitato e chiuso. Il numero 0 indica mangimi biologici,ma attenzione perché questo può comunque significare allevamento in gabbie. Lo stesso vale per alcune diciture come “uova di campagna” o di “allevamenti biologici”. Purtroppo nella perfettibilità del codice alfanumerico delle uova esiste un inghippo. Il numero è stampato sulle uova e la confezione è chiusa. Occorre passare al setaccio la scatola per almeno 15 minuti, prima di capire che derivano da galline in gabbia. Io lo faccio. E voi?
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