La cannabis usata per combattere il diabete e alti livelli di colesterolo in particolare nei pazienti obesi? Si tratta di una eventualità che potrebbe non essere lontana dal venire applicata per prevenire la comparsa di malattie cardiovascolari, grazie alla scoperta effettuata dai ricercatori dell’Università di Buckingam, in Gran Bretagna. Questo non avvalla automaticamente il consumo di questa droga leggera, sia chiaro.
La ricerca condotta dagli scienziati inglesi parla, infatti, dei due composti presenti nelle foglie di cannabis che sono in grado di aumentare la quantità di energia che il corpo brucia favorendo quindi una perdita di peso del soggetto. Al momento le sperimentazioni sono state condotte su modello animale ed i test condotti sulle cavie hanno mostrato che questi due principi attivi, la Thcv (tetraidrocannabivarina) e il cannabidiolo, sono in grado di aiutare a combattere entrambi i tipi di diabete e riducono sia il grasso in organi importanti come il fegato che i livelli di colesterolo nel sangue.
Questa scoperta, se opportunamente sviluppata, secondo i ricercatori dell’Università di Buckingam potrebbe rappresentare una buona base terapeutica per chi soffre di sindrome metabolica, ipertensione, diabete e obesità, puntando ad eliminare i fattori di rischio proprio delle malattie cardiovascolari e dell’ictus.
Queste due sostanze hanno mostrato di avere un effetto di soppressione sull’appetito e un impatto sul livello di grasso nel corpo. Non solo, è stata notata anche una sua importante risposta all’insulina, l’ormone che controlla il livello di zuccheri nel sangue. Analisi effettuate sui topi nel corso dello studio hanno dimostrato la capacità della Thcv e del cannabidolo di aumentare il metabolismo basale. La speranza degli scienziati è quella che, a partire da queste due specifiche sostanze, si possano presto sviluppare farmaci per il trattamento delle malattie legate all’obesità e al diabete di tipo 2. Ci vorrà, ad ogni modo, ancora del tempo prima che una seria applicazione clinica possa incominciare.
Fonte: University of Buckingam
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