L’ipotiroidismo è la malattia più frequente della tiroide eppure è ancora un mistero per molti, magari proprio per chi ne è pure inconsapevolmente affetto. Stiamo parlando per l’Italia di un’incidenza abbastanza consistente e le diagnosi avvengono purtroppo spesso tardivamente, in genere perché si accumulano tanti chili e non si riesce a dimagrire.
Nell’ipotiroidismo infatti la tiroide funziona poco e non secerne la giusta quantità di ormoni necessaria al corretto metabolismo. Le motivazioni possono essere diverse, ma delle soluzioni, una volta fatta la diagnosi precisa, ci sono. Anche con delle sostanze naturali.
Tra queste sicuramente troviamo lo iodio, necessario a prevenire il gozzo, come ben sappiamo, semplicemente usando sale da cucina iodato. In Italia però solo il 50% della popolazione ne fa uso, cifra molto lontana dal 90% suggerito quale limite minimo di profilassi dall’OMS (Organizzazione mondiale della Sanità).
Una cosa di cui si parla poco ( e devo dire di cui i ginecologi potrebbero informare maggiormente le proprie pazienti) è l’importanza dello iodio anche in gravidanza. Spiega il professor Paolo Beck-Peccoz Direttore del Dipartimento di Scienze Cliniche e di Comunità U.O. di Endocrinologia e Diabetologia Università degli Studi di Milano:
“Una carenza di iodio durante la gestazione può avere conseguenze negative sullo sviluppo psico-neurologico del bambino. In questa fase infatti, gli estrogeni aumentano l’escrezione renale di iodio che porta ad un incremento del fabbisogno di questo microelemento. Inoltre, l’aumentato lavoro della tiroide materna che deve sopperire alle esigenze del feto (la tiroide del bimbo si sviluppa solo dopo le 16 settimane) portano ad un fenomeno conosciuto come ipotiroxinemia che viene amplificato dalla carenza iodica. Ecco perché è necessario che la profilassi iodica venga effettuata da chi vuole avere un bimbo. Per gli stessi motivi è anche utile che la futura mamma assuma integratori contenenti iodio durante i primi mesi di gravidanza.”
E per la Tiroidite di Hashimoto? In particolare nel nostro Paese, il 10% della popolazione femminile e il 2% di quella maschile è affetto da tale malattia autoimmune e cronica che porta lentamente alla distruzione della ghiandola tiroidea e dunque all’ipotiroidismo. Questa patologia non è curabile, ma a differenza di quello che si riteneva fino a pochi anni fa, ora c’è una speranza di salvaguardia della tiroide. Uno studio scientifico pubblicato nel 2010 (quindi abbastanza recente) su Clinical Endocrinology in cui si evidenziava come, in 76 pazienti “subclinici”, ovvero con diagnosi di tiroidite di Hashimoto senza evidenti sintomi e quindi non ancora in terapia, la semplice somministrazione di selenio in dosi comuni, fisiologiche (80 μg/al giorno), avesse ridotto la produzione di anticorpi antitiroidei, in solo un anno di trattamento.
“I risultati di questo lavoro scientifico dimostrano come quindi il selenio possa avere un’azione protettiva nei confronti della tiroide limitando la progressione della malattia autoimmune e dunque della distruzione della ghiandola; anche solo il rallentamento del processo autoimmune può procrastinare, e in alcuni casi evitare, una terapia che una volta iniziata è necessario continuare a vita”.
Per il resto, l’ipotiroidismo può essere curato con la levotiroxina, un farmaco che si assume per via orale in singola dose giornaliera.
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