Il 9 febbraio 2011 si celebrerà la Giornata nazionale degli stati vegetativi. A deciderlo il Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro della Salute. Eugenia Roccella, sottosegretario alla Salute, motiva la decisione spiegando che in questo modo il ricordo di Eluana Englaro
non sarà più una memoria che divide ma un momento di condivisione per un obiettivo che ci unisce tutti.
A volere la Giornata, spiega Roccella, le associazioni dei familiari delle persone che vivono allo stato vegetativo. Il 9 febbraio è la data della morte di Eluana Englaro, definita dal sottosegretario
una ragazza affetta da disabilità grave la cui vita è stata interrotta per decisione della magistratura.
Se questa giornata deve servire a conciliare quelli che ormai sono due fronti opposti, il primo che lotta per la libertà di scegliere se vegetare o morire serenamente, il secondo che difende la vita sino alla fine, le parole di Roccella a me pare vadano nella direzione contraria quando dichiara che il 9 febbraio
sarà un’occasione preziosa in più per ricordare a tutti noi quanto è degna l’esistenza di tutti coloro che vivono in stato vegetativo e non hanno voce per raccontare il loro attaccamento alla vita.
Continuo a pensare che Eluana una voce l’avesse, era quella dei genitori, degli amici e di quanti, vivendo e soffrendo con lei, sapevano meglio di qualsiasi associazione pro-vita come volesse vivere o non vivere. Né è accettabile strumentalizzare la storia di Eluana come è stato fatto in quei giorni, arrivando persino a dichiarare che sarebbe potuta diventare madre.
Come non è possibile, in fondo, pretendere di entrare in un dolore così privato e capirne tutte le sfumature, ogni aspetto, collocandosi nel bianco piuttosto che nel nero e dimenticando quanto questa scelta sia stata drammatica per i diretti interessati.
Il dibattito sul fine vita si è spostato sul piccolo schermo, dopo che la trasmissione di Fazio e Saviano Vieni via con me, ha dato voce a Mina Welby e a Beppino Englaro, rifiutando quello che è stato definito un contradditorio delle associazioni pro-vita. Se c’è una contraddizione in questa storia è credere che Englaro e Welby fossero lì per difendere la morte e consigliare ai familiari di chi vive in stato vegetativo di lasciare andare i loro cari senza farsi troppo scrupoli. Erano per lì per raccontare una vita di amore al fianco di un pezzo della loro di vita. Erano lì per testimoniare una scelta dolorosa che fa parte della vita, la fine della vita.
Ogni storia è una storia a sé. Un dolore diverso. Condivisibile o meno, il percorso delle famiglie che assistono le persone in stato vegetativo è sempre, nell’uno o nell’altro caso, un cammino tortuoso, doloroso e difficile. Non c’è chi ha più coraggio e chi ne ha meno. E soprattutto, non c’è chi difende la morte e chi difende la vita. E’ assurdo anche pensare che qualcuno faccia quasi il tifo per la morte. Bisognerebbe fermarsi a riflettere, prima di ingaggiare queste battaglie mettendo gli uni contro gli altri cittadini che partecipano dello stesso dramma. Schierarsi solo per raccogliere qualche voto. Ora magari ci diranno anche che la vita è di destra, la morte di sinistra…