Guarire dalla leucemia senza sottoporsi a chemioterapia è possibile. Lo ha dimostrato uno studio scientifico pubblicato nei giorni scorsi sul New England Journal of Medicine e realizzato dal gruppo di studio Gimema, coordinato da Francesco Lo Coco, professore di Ematologia all’Università Tor Vergata di Roma.
Il lavoro è riferito ad una particolare forma di leucemia acuta, la leucemia promielocitica ed ha dimostrato addirittura una sopravvivenza a due anni che arriva al 98% contro il 91% della terapia chemioterapica standard. Uno scarto percentuale non altissimo, è vero, ma che significa tante vite in più e soprattutto effetti collaterali della chemio in meno, quindi presumibilmente una maggiore qualità della vita. Ma in cosa consiste tutto ciò? Il nuovo farmaco? Si tratta di un mix di acido retinoico (che ricordiamo è la forma sintetica della vitaminaA) e triossido d’arsenico.
La leucemia promielocitica (nota anche come Lap) è fortunatamente molto rara, ma altrettanto aggressiva, a tal punto che può essere anche fulminante, letale già alla sua insorgenza per le gravi emorragie che provoca. Colpisce in media in Italia dalle 100 alle 150 persone intorno ai 40 anni. Lo studio scientifico in questione ha coinvolto più di 160 pazienti seguiti in 40 centri ematologici italiani e 27 tedeschi.
Questa malattia oggi è più facile da diagnosticare rapidamente ed è divenuta guaribile nell’80% dei casi grazie ad una combinazione di farmaci chemioterapici ed acido retinoico. Certo è che i noti effetti collaterali della chemioterapia non favoriscono il buon approccio psico-emotivo alla cura e sono associati ad un rischio di mortalità maggiore. Con la nuova formulazione farmacologica però questo aspetto può essere superato. Spiega Lo Coco:
“Ora spettiamo il farmaco: abbiamo scritto all’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco, per chiedere il rimborso del medicinale, che già è prodotto, ma viene utilizzato per le recidive. Bisogna cambiarne indicazione. Speriamo che il passaggio sia rapido, anche perché sarebbe un peccato se all’estero potessero già beneficiane e qui in Italia no. Ci tengo inoltre a sottolineare che la parte tedesca è stata finanziata dal ministero della Ricerca, mentre quella italiana dall’Ail, con anche un contributo dell’AIRC. Quello che i cittadini donano a queste associazioni, da dei risultati concreti di cui beneficerà tutto il mondo”.
Qui l’articolo pubblicato sul NEJM
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