Il metodo “mamma canguro” per neonati prematuri esiste da tempo ed è conosciuto come approccio complementare nella cura dei bambini che presentano qualche difficoltà alla nascita. Vediamo insieme di cosa si tratta.
Quando nasce il metodo
Questa procedura è di per se stessa molto semplice: prevede il contatto pelle a pelle tra la madre ed il piccolo ed è stato creato a Bogotà, in Colombia, intorno alla fine degli anni ‘70. E se inizialmente nacque per trovare un approccio utile nei confronti del neonato al fine di dargli le migliori cure possibili da ogni punto di vista, adesso viene utilizzato perché sempre più ricerche nel corso degli anni hanno mostrato un calo della mortalità rispetto a chi non ha la possibilità di sperimentare questo contatto ed una diminuzione di infezioni, squilibri termici, apnee e broncopolmoniti derivanti dall’aspirazione di latte.
Cosa comporta il metodo delle mamme canguro
Il metodo delle “mamme canguro”, unito a procedure mediche all’avanguardia, riesce a prendersi cura dell’aspetto psicologico dei neonati prematuri. Non dobbiamo infatti dimenticare che i bambini sottoposti a terapie intensive, perché nati in anticipo, quasi sempre mancano del tutto il contatto della madre. Questo avviene a causa, tra le altre cose, dell’alimentazione parenterale o per via del sondino naso-gastrico. Il metodo delle “mamme canguro”, proponendo comunque il contatto tra la genitrice e il piccolo ovvia al problema, rivelandosi essere una buona integrazione alle cure di solito in atto in questi casi.
Il rapporto madre-figlio
La connessione tra la donna ed il proprio bambino in questa “procedura” esprime, forse, la sua maggiore potenzialità: motivazione per la quale in quasi tutte le strutture ospedaliere essa non avviene solo se il bambino è attaccato ad un respiratore. Grazie al contatto con la pelle materna il neonato prematuro è più tranquillo, permettendo la stabilizzazione della sua respirazione ed una maggiore ossigenazione con tutti i benefici che ne conseguono. Al contempo, e non va sottovalutato, anche la madre inizia a sviluppare quel rapporto di “appartenenza” che le darà modo di prendersi cura di suo figlio autonomamente una volta arrivati a casa.
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