A quanto sta man mano emergendo nelle ultime ore anche l’Italia deve iniziare a preoccuparsi delle protesi mammarie Pip e della loro nocività. Dopo l’Inghilterra e la Francia, tocca ora al nostro paese prendere provvedimenti. Sarebbero decine le rotture avvenute in Italia: ventiquattro dal 2005. Ed anche da noi l’intervento è lo stesso: necessità di fare controlli dopo la loro rottura.
Al momento per ciò che rigiuarda l’Italia, “l’allarme” è relativo alla possibilità di reazioni infiammatorie. Spiega in tal senso il Consiglio superiore di Sanità per voce del ministro della Salute Renato Balduzzi:
Non esistono prove di maggior rischio di cancerogenicità ma sono state evidenziate maggiori probabilità di rottura e reazioni infiammatorie.
Come già successo in Francia le donne dovranno discutere con il loro chirurgo estetico o medico operante, mentre di concerto il ministero ha chiesto collaborazione a quei centri estetici che hanno utilizzato le protesi Pip in passato, chiedendo loro di contattare le pazienti che hanno subito l’impianto di questo particolare tipo di compendio. Il ministro Balduzzi ha inoltre annunciato che “gli eventuali reimpianti verranno rimborsati dal servizio pubblico” in presenza ovviamente di indicazioni specifiche: il rimborso avverrà per le operazioni di mastoplastica legati a problemi di salute e quindi solo in caso di ricostruzione relativa la cancro al seno.
Di contro, va però sottolineato che le stime parlando di più di quattromila donne che in Italia avrebbero impiantate nel proprio corpo queste protesi scadenti. Si parla di stime perché le cliniche non hanno l’obbligo di segnalare l’impianto.
Continua Balduzzi:
Il parere conferma la linea di allarme. Le protesi Pip sono in materiale non regolare. Siamo in contatto con le autorità francesi dove il problema è più grave perché interessa circa 30 mila pazienti. Il lavoro del Consiglio superiore era già cominciato. Nell’aprile del 2010, dopo le prime segnalazioni francesi, in Italia è scattato il ritiro. Poi una seconda circolare che disponeva un sistema di monitoraggio anche con i medici di famiglia.
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Fonte: Corriere della Sera