L’hanno chiamata addirittura “caccia all’untore”, ma se veramente si volesse fermare l’epidemia di HIV a Milano, basterebbe non fare ciò che tutti ritengono vergognoso, ma che molti fanno lo stesso: avere rapporti sessuali con prostitute o trans. Ed invece è ciò che sta accadendo a Milano, ormai da troppo tempo, dove dei transessuali con malattie sessualmente trasmissibili, prima fra tutti proprio l’HIV, continuano ad agire impunemente e a contagiare i cittadini come ai tempi della peste.
Con la differenza che fermare la peste una volta era impossibile o quasi, evitare di essere contagiati oggi è molto semplice, ma purtroppo l’ignoranza o la volontà di provare il “brivido dell’avventura” hanno portato 9.000 milanesi, stima al ribasso, ad ammalarsi di una terribile malattia da cui non si può guarire.
Uno degli “untori” si chiama Alicia, anche se sul passaporto ha il nome Rosario. E’ brasiliana, come tanti suoi colleghi, e al Corriere della Sera ha confessato che riesce a soddisfare circa 300 clienti al mese. Purtroppo, per sua stessa ammissione, molti vogliono rapporti sessuali non protetti, e lei che è consapevole da anni di essere portatrice del virus, non dice nulla, l’importante è guadagnare perché la fame ti uccide in pochi giorni, l’AIDS in decine di anni.
Ad aggravare la situazione c’è che molte vittime sono minorenni. I circa 250 trangender che agiscono nel solo capoluogo lombardo (per contare solo i sudamericani), non si fanno problemi se a pagarli sono cinquantenni o persone che non hanno compiuto nemmeno 18 anni. Addirittura, riferisce Giampaolo Landi Di Chiavenna, assessore alla sanità milanese, è stato registrato persino un caso di contagio in un ragazzino di 12 anni.
È sieropositivo ben il 50 per cento delle prostitute e dei transessuali della città. È necessario un maggiore controllo. La legalizzazione della prostituzione arginerebbe l’emergenza sanitaria
spiega l’assessore. Un metodo per arginare il fenomeno c’è, oltre a quello utopico di non praticare il sesso a pagamento o almeno farlo con le giuste precauzioni, e si tratta della cosiddetta “gestione terapeutica”. La spiega il dott. Massimo Galli, docente di Malattie Infettive:
le moderne terapie abbattono in modo significativo la carica virale e quindi anche il rischio di trasmissione. Gli ultimi studi scientifici, ad esempio uno su Vancouver, lo confermano: più persone fanno il test, più aumentano le diagnosi precoci e i pazienti in trattamento, meno sono le nuove persone contagiate. In molti casi parliamo di persone a cui l’identità sessuale è stata imposta nell’ambito di una grave marginalità sociale e non è una scelta di sessualità conforme alle proprie aspirazioni. In situazioni del genere è più facile finire sulla strada.
Il problema è che molti si vergognano, altri hanno paura di essere emarginati, mentre la stragrande maggioranza dei contagiati non sa di esserlo. Una migliore informazione (e coscienza) è dunque necessaria.
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