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Il laser salva le gambe a rischio

Il catetere a fibre ottiche risale lentamente l’arteria fino al punto in cui si è chiusa. Poi, quand’è arrivato nel punto cruciale, libera un fascio di luce azzurrina che, in pochi secondi, apre un primo varco. Un’angioplastica completa l’opera e la circolazione sanguigna riprende, come d’incanto, mentre il dolore acuto dell’ischemia è solo un brutto ricordo.

 Dopo la cataratta, la miopia e la presbiopia, la terapia al laser ora è disponibile anche per le ischemie degli arti inferiori, un problema che riguarda soprattutto i diabetici o meglio quei 4-5 mila malati affetti dal cosiddetto “piede diabetico” che ogni anno, in Italia, rischiano di perdere una gamba. Nata negli Usa nella seconda metà degli anni ’90 e diffusa in Germania, la nuova applicazione del laser ad eccimeri ora è disponibile anche in Italia.

 Ma quando è indicata questa tecnica?  Dice il dottor Vittorio Dorrucci, direttore della Chirurgia Vascolare, dell’ospedale Umberto I di Mestre

«Per ora la usiamo sui pazienti a rischio di amputazione che non possono essere trattati chirurgicamente ma l’indicazione s’estenderà sicuramente»

 Vediamo allora quali sono i vantaggi del laser, rispetto alla chirurgia tradizionale che invece aggira l’ostruzione arteriosa con un by pass.

«Innanzitutto l’intervento col laser si fa in anestesia locale in un ‘ora, mentre per by pass occorre l’anestesia generale e circa quattro ore. Poi c’è il problema del rischio di restenosi e di occlusione dopo l’intervento. Ad un anno di distanza dal by pass solo nel 60% dei pazienti non si riforma la stenosi contro l’80%  di successo assicurato dal laser»

 Ma quello che conta di più è il confronto tra le due tecniche in termini di amputazioni evitate:

«A cinque anni dall’intervento di by pass ha evitatato l’amputazione il 60 per cento dei pazienti, contro l’80 per cento di quelli che sono stati trattati con laser»

 Infine c’è da tenere conto che chi si sottopone al trattamento laser si toglie il pensiero in due soli giorni d’ospedale, mentre la tecnica tradizionale richiede una degenza di almeno 15 glomi, cui seguono da 1 a 2 mesi di convalescenza e riabilitazione.