La ricerca medica ha fatto un nuovo passo avanti che riguarda la qualità della vita dei trapiantati di fegato. Si tratta di una nuova immunoglobulina capace di prevenire la reinfezione dell’Hbv (virus dell’epatite B) in pazienti sottoposti a trapianto di fegato per insufficienza epatica provocata dal virus stesso. Per spiegarvene l’importanza occorre fare un passo indietro.
Solo in Italia, lo scorso anno sono stati effettuati 1.061 trapianti di fegato: un terzo del totale di tutti i trapianti (qui un approfondimento). La lista d’attesa è di circa 2 anni e non tutti ce la fanno ad aspettare (il 5,4% di loro, muore). L’infezione da epatite virale B è la terza causa di trapianto di fegato, dopo l’epatite c e l’epatocarcinoma (che comunque può essere conseguenza degli stessi virus): ve ne abbiamo già parlato di recente.
Sempre nello scorso anno, sono stati eseguiti 212 trapianti dovuti al ceppo B della malattia virale. Il tasso di sopravvivenza a 5 anni è stato del 70%. Questo grazie anche alle terapie farmacologiche post-operatorie: quelle immunosoppressive contro il rigetto e quelle delle terapie antivirali e delle immunoglobuline.
Già! Perché se è possibile trapiantare un fegato, il virus che lo ha distrutto rimane comunque in circolo nel sangue e queste terapie diventano vitali nel doppio senso del termine: durano per sempre e servono per la sopravvivenza.
Qui arriva l’importanza della nuova terapia: fino ad ora la somministrazione delle immunoglobuline è avvenuta per via endovenosa (EV) o per via intramuscolare (IM), costringendo i pazienti a ricoveri ospedalieri o all’assistenza domiciliare. Una limitazione della qualità della vita notevole, soprattutto per i più giovani.
Il nuovo farmaco si somministra settimanalmente sottocute ed in maniera autonoma. Particolare anche la sua struttura: il principio attivo che lo contraddistingue, l’immunoglobulina umana anti-epatite B, è un anticorpo estratto direttamente dal sangue umano, che viene purificato a 20 nanometri.
Ovvero con un filtro talmente piccolo da eliminare virus ed agenti patogeni di altro tipo. Un trapianto salva la vita, la ricerca medica aiuta a renderla migliore anche dopo l’intervento. Ma prevenire queste infezioni rimane la cosa migliore che si possa fare.
[Fonte: Sisqt]