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Chemioterapia, così funziona meglio

La chemioterapia è uno dei principali mezzi di cui l’uomo dispone per combattere il cancro. In alcuni casi sembra fare più effetto rispetto ad altri. Quando è che funziona meglio? Vediamolo insieme all’Istituto Superiore di Sanità ed all’Istituto francese Gustave Roussy di Parigi.

 

Fino a 50 anni fa l’unico approccio che si possedeva contro il tumore era quello chirurgico: efficace se il cancro era circoscritto e facile da estirpare, ma totalmente inutile se già diffuso nei tessuti a lui circostanti.Le metastasi erano infatti assolutamente intrattabili. Con la messa a punto della chemioterapia, per quanto in alcuni casi essa sia ancora “imperfetta”, è stato raggiunto un discreto salto di qualità nella terapia contro il cancro. E studiando queste soluzioni con più attenzione ci si è resi conto che il loro funzionamento è legato al nostro sistema immunitario. Ovvero quando lo stesso risponde in un certo modo, il farmaco iniettato risulta essere più efficace.

Lo studio condotto dagli scienziati italiani e francesi, pubblicato sulle pagine di Nature Medicine, ha spiegato come le antracicline in particolare (utilizzate per combattere principalmente il cancro al seno, N.d.R.) quando colpiscono la cellula tumorale spingono quest’ultima a lanciare una sorta di segnale al sistema immunitario della persona che potenzia l’effetto del farmaco perché le nostre difese tendono ad imitare il suo stesso effetto. Ed è in questa “emulazione” il segreto della maggiore efficacia di alcuni cicli di chemioterapia nei malati. Commentano gli esperti:

La cellula tumorale morente invia segnali che allertano il sistema immunitario e attivano una sua risposta specifica che contribuisce all’eliminazione della massa tumorale, vigilando al tempo stesso che la malattia non insorga di nuovo.

Questa ricerca è importante perchè apre la strada ad un nuovo tipo di approccio terapeutico. Gli scienziati infatti puntano ora modificare i vari medicinali in modo tale da scatenare sempre questa risposta, legata all’effetto che l’interferon (uno dei componenti della suddetta terapia) ha nell’indurre il meccanismo sopracitato, spingendo il verificarsi dell’apoptosi immunogenica contro le cellule tumorali.

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