Le tecniche di rianimazione finora adottate possono salvare la vita, ma spesso causano gravi danni alle cellule nervose. Ma oggi esiste una nuova arma per salvare la vita dei pazienti: il freddo.
Si, proprio così, avete capito bene. Sarebbero le basse temperature a rianimare i corpi dei moribondi. Se dopo aver rianimato un paziente in arresto cardiaco, si diminuisce la sua temperatura corporea, si evita il decadimento delle cellule e aumentano di conseguenza le probabilità di una completa guarigione.
La tecnica viene praticata sin dagli anni Cinquanta in molti ospedali americani. I bambini che avevano subito traumi gravi alla testa venivano immersi in vasche piene di acqua e ghiaccio. A ispirare i medici i casi di alcuni bambini caduti in acque gelide che, apparentemente morti, si erano improvvisamente risvegliati alla vita.
Questa tecnica di rianimazione fu poi abbandonata con la scoperta di attrezzature più avanzate, ma negli anni Ottanta il neurochirurgo texano Guy Clifton scoprì, attuando degli esperimenti sui gerbillli, roditori simili a topi, che il freddo impediva alle cellule nervose di morire.
A distanza di più di 20 anni dalle sue rivelazioni, decine di pazienti sono state salvate proprio con il freddo.
Bill Bondar è uno di loro. L’uomo giunto in coma per un arresto cardiaco all’ospedale universitario della Pennsylvania, fu curato da Lance Becker, uno dei pionieri dell’ipotermia. Nelle sue vene furono iniettati litri di una soluzione salina ghiacciata e il suo corpo fu fasciato con guaine al cui interno scorrevano acque gelide. La sua temperatura corporea fu mantenuta per 24 ore a 33°C. Poi, gradualmente, il suo corpo fu di nuovo scaldato. Oggi sta bene e conduce una vita normale.
Bill Bondar è uno di loro. L’uomo giunto in coma per un arresto cardiaco all’ospedale universitario della Pennsylvania, fu curato da Lance Becker, uno dei pionieri dell’ipotermia. Nelle sue vene furono iniettati litri di una soluzione salina ghiacciata e il suo corpo fu fasciato con guaine al cui interno scorrevano acque gelide. La sua temperatura corporea fu mantenuta per 24 ore a 33°C. Poi, gradualmente, il suo corpo fu di nuovo scaldato. Oggi sta bene e conduce una vita normale.
Con questo metodo sono stati curati già 6 pazienti in Pennsylvania. In Italia il metodo è usato all’ospedale Niguarda di Milano e all’ospedale Careggi di Firenze. I danni cerebrali causati dall’arresto cardiaco, se le attuali ricerche in corso dessero esiti positivi su più pazienti, potrebbero essere arginati con l’ipotermia. Semplice…ma vero!