Un trapianto di staminali condotto secondo una nuova procedura sarebbe in grado di congelare la sclerosi multipla fermando i sintomi della malattia sul lungo termine. Si tratta di una metodologia funzionante, sebbene provata su un numero esgiguo di pazienti.
Perché un campione così basso al momento? La risposta è data dalla pericolosità della procedura. La stessa, come sottolineano gli scienziati dell’Università di Ottawa che l’hanno messa a punto non è purtroppo priva di rischi. Lo studio dedicato, pubblicato sulla rivista di settore “Lancet” è molto chiaro su questo aspetto. La tecnica è basata su due passaggi principali: una chemioterapia molto potente ed un trapianto di cellule staminali “bambine” nella maturazione.
Entrando nello specifico della procedura messa a punto dai ricercatori si comprende che la chemioterapia viene utilizzata per distruggere completamente il sistema immunutario della persona in seguito all’assunzione di una terapia immunosoppressiva, per eseguire poi il trapianto di staminali ematopoietiche autologhe: è in questo modo che i pazienti affetti da sclerosi multipla hanno visto bloccarsi sia le ricadute cliniche che lo sviluppo di nuove lesioni cerebrali in 23 dei 24 pazienti utilizzati come campione per la ricerca. Il tutto senza che gli stessi prendessero farmaci per contrastare la malattia. Nonostante i risultati ottenuti, come spiegato in precedenza, l’uso di questa procedura è fortemente limitato per via dei rischi nei quali i pazienti possono incorrere. Spiega il professor Harold Atkins, coordinatore della squadra di ricerca insieme al professor Mark Freedman:
[Si parla di un trattamento] simile a quello usato in altri studi, ma il nostro protocollo utilizza una chemio più forte e rimuove le cellule immunitarie. La chemioterapia che usiamo è molto efficace per attraversare la barriera emato-encefalica e questo potrebbe contribuire a eliminare le cellule immunitarie dannose dal sistema nervoso centrale.
Uno dei pazienti volontari è morto di necrosi epatica e sepsi causata dalla chemioterapia ma tra i restanti 23 nessuno ha presentato recidive o nuove lesioni, tranne che in un caso, in un periodo di follow up variabile tra i 4 ed i 13 anni. Per quanto soddisfatti del risultato i ricercatori invitano alla cautela: prima di un eventuale clinicizzazione saranno necessari ulteriori controlli di efficacia e di sicurezza.
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