Quando si parla di tumore, uno dei fattori più importanti da verificare è la famigliarità degli stessi nell’albero genealogico del paziente. Purtroppo però, quasi mai i pazienti sono affidabili in questo. Quando questa domanda viene posta dall’oncologo, le risposte non sono né attendibili, nella maggior parte dei casi, né precisi.
Ed è al contrario un particolare davvero importante, in grado di rendere un caso meglio valutabile sotto ogni ottica o in caso di sospetta neoplasia, avere un punto di vista molto più personale dell’intera situazione in grado di mettere sotto controllo alcuni aspetti che magari non si sarebbero tenuti da conto. Ci ha pensato uno studio vero e proprio a delimitare i confini di questo modo, appena pubblicato sulla rivista Journal of The National Cancer Institute.
Si parla di un campione di circa 1019 volontari ai quali i medici statunitensi hanno richiesto di parlare delle diagnosi di cancro avvenute nella loro famiglia in merito a parenti di primo e secondo grado. Le risposte sono state poi confrontate con i documenti relativi alle persone prese in esame contenuti in quelli che si possono definire “database ufficiali” ovvero i certificati di morte ed i registri tumori statali, presenti negli Stati Uniti.
La precisione sui casi è mediamente bassa, mentre cresce quando le persone intervistate affermano di non aver avuto malati di cancro in famiglia. Maggiore precisione è stata riscontrata, come ovvio che fosse, per ciò che riguarda i famigliari di primo grado. La correttezza maggiore? E’ stata riscontrata in caso di tumore al seno, con una percentuale del 61% e con il cancro al polmone, in percentuale del 60%.
Il responsabile della ricerca, il dott. Phuong L. Mai, sostiene che una corretta informazione della famigliarità rappresenta il miglior metodo per effettuare una diagnosi sicura, specialmente in materia di prevenzione, dando modo ai dottori di valutare la necessità di sottoporre pazienti e famigliari a screening di tipo genetico.
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Fonte: Corriere dell Sera