5 miti sul fumo

Il fumo, come molti aspetti della salute, è accompagnato da diverse credenze popolari, molte delle quali sono false, sbagliate solo a metà, o delle volte vere. Ma quali effettivamente sono false, e possono condizionare il nostro comportamento guidandoci sulla cattiva strada? I cosiddetti “miti sul fumo” sono tanti, ma per ora limitiamoci a spiegarne i 5 maggiori, e capire cosa c’è di vero in essi, e cosa no.

1) Smettere di fumare dipende dalla forza di volontà. Considerando che la forza di volontà è certamente importante nella decisione di smettere di fumare, per la maggior parte dipendenti da nicotina il problema non si risolve qui. La dipendenza da nicotina è grave, e le difficoltà per smettere non devono essere sottovalutate.

I pochi fortunati che sono riusciti a trovare la forza di volontà da sola, nella stragrande maggioranza dei casi utilizza una combinazione di terapia sostitutiva della nicotina e di consulenza psicologica. Il rischio è di finire con il dipendere da qualcos’altro (dal cibo alle droghe), e dunque è bene affidarsi a dei terapisti esperti che potranno guidarci verso il risultato finale.

Svelate prove del collegamento tra abuso di alcool e diffusione del cancro

Il consumo di alcool è stato a lungo collegato al cancro e alla sua diffusione, ma il meccanismo sottostante non è mai stato chiaro. Ora, i ricercatori del Rush University Medical Center hanno identificato una via cellulare che può spiegare il collegamento. In uno studio pubblicato sulla rivista Alcoholism: Clinical and Experimental Research, i ricercatori hanno scoperto che l’alcool stimola quella che viene chiamata “transazione epitelio-mesenchimale“, in cui le cellule del cancro si trasformano in una forma più aggressiva e cominciano a diffondersi in tutto il corpo.

I nostri dati sono i primi a dimostrare che l’alcool si trasforma in dei segnali all’interno di una cellula che sono coinvolti in questa transizione critica

ha spiegato Christopher Forsyth, assistente professore di medicina e biochimica presso il Rush University Medical Center e autore principale dello studio.

Cnr: nei giovani l’ubriachezza è in aumento

In Italia è emergenza alcool. Nonostante le campagne pubblicitarie con cui stanno tappezzando le nostre città, o gli spot che mandano ogni giorno in tv, il problema dell’alcool tra i giovani non diminuisce, ma anzi se possibile, diventa ancor più grave. A stabilirlo è un’indagine svolta dal Cnr, iniziata nel 1999 e che continua ancora oggi, la quale mette in guardia sul problema.

Non va sottovalutato, né messo in secondo piano, perché se fino ad oggi ci siamo scandalizzati quando ai telegiornali sentivamo di persone ubriache alla guida che investivano degli innocenti pedoni, questo fenomeno potrebbe aumentare sempre di più. Secondo i dati dell’indagine infatti, il consumo alcolico tra i giovani è in costante aumento. All’inizio dell’indagine, 10 anni fa, il numero di studenti universitari intervistati che ammetteva di bere talmente tanto da essere ubriachi almeno una volta l’anno è salito dal 39 al 43%. Un fenomeno che però, naturalmente, non riguarda solo gli studenti. Anzi, si comincia a bere sempre prima.

L’alcool aumenta la resistenza allo sforzo fisico

Secondo voi siamo più attivi, quando beviamo di più o se beviamo di più, siamo più attivi? Recenti ricerche hanno dimostrato che esiste una correlazione tra le due cose, ma c’è di più. Un altro studio afferma che la combinazione tra uso moderato di alcool e l’esercizio fisico aiuta il cuore anche più rispetto al bere dell’altro.

Michael French, professore di economia sanitaria presso l’Università di Miami, con i suoi colleghi ha sfogliato i dati del 2005 Behavioral Risk Factor Surveillance System, uno studio annuale su circa 230.000 americani, e ha trovato una correlazione sorprendentemente positiva tra i livelli di consumo di alcool e l’esercizio fisico. Per gli uomini e le donne, coloro che bevevano moderatamente resistevano 7,2 minuti in più alla settimana rispetto a coloro che non bevevano.

Ora ci sono le prove scientifiche che l’alcool gonfia la pancia

Il cosiddetto “binge-drinking“, cioè l’ubriacarsi eccessivamente tutto in una sera, va sempre più di moda. Contemporaneamente anche l’obesità sta aumentando. Correlando i due dati, alcuni ricercatori in tutto il mondo hanno tentato di associare le due cose, e ci sono riusciti.

Nell’ultima conferenza della European Society of Cardiology, che si sta tenendo in questi giorni a Barcellona, è emerso un dato interessante, un qualcosa che tutti conoscevano come “sapere popolare”, ma che finora nessuno aveva provato scientificamente, e cioè che il troppo alcool gonfia la pancia, favorendo l’obesità.

A dimostrarlo è stato il medico inglese Martin Bobak dell’University College di Londra, il quale ha portato a sostegno della sua tesi i dati su 25 mila persone, sia uomini che donne, analizzati negli anni dal suo staff in tre Paesi dell’Est Europa. Tali dati dimostrano come il bere troppo alcool favorisce un accumulo di grasso, non in tutto il corpo come accade quando mangiamo troppo, ma soltanto nella zona della pancia e dei fianchi, favorendo così il fenomeno dell’obesità addominale. Non c’è differenza tra il bere birra, superalcolici o vino.

Smettere di fumare: i programmi della dissuefazione dal fumo del Ministero della Salute

Da oggi non fumo più”. Sembra facile… ma solo a chi non fu­ma! Quelli che invece lottano ogni giorno con la voglia di smettere e la frustrazione di non riuscirci sanno che non basta la buona volontà. Né servo­no granché gli spauracchi stampati sui pacchetti di sigarette (si sono triplica­te le vendite di portasigarette!) o gli allarmi di statistiche mediche: l’abitudi­ne prevale! Per i dati, su sei persone che fumano un pacchetto di sigarette al giorno, una morirà di cancro al pol­mone e per gli altri sono dietro l’ango­lo malattie cardiovascolari o altre pa­tologie… ma il fumatore si aggrappa alla speranza di un benigno Dna. Come riconosce un pioniere della lotta al tabacco come Giacomo Mangiaracina, medico spe­cialista in Salute Pubblica, coordina­tore dell’Arca Tabagismo Lega Italia­na contro i Tumori, presidente della Società Italiana Tabaccologia, in prima linea sul fronte della salute ma senza durezza da “cac­cia alle streghe”:

 «Smettere di fumare interrompe un rapporto emozionale, è una separazione e va compensata. Non si parla più di metodi per smettere di fumare ma di un “percor­so di cambiamento attraverso vari stadi: negazione del problema, con­templazione (`forse dovrei smettere’), scelta, azione»

spiega lo specialista e precisa che il problema è più cultura­le che scientifico, che la persona va aiutata a percepire la propria patologia di dipendenza,

«con delicatezza, cominciando da un colloquio clinico, verificando poi il grado di dipendenza attraverso le risposte a un modulo, va­lutando le possibilità di riuscita in ba­se anche al contesto di vita e all’impe­gno necessario».

I bevitori moderati vivono più a lungo

I bevitori moderati sono più ricchi, più istruiti e hanno meno probabilità di diventare disabili rispetto agli astemi, il che spiega alcune, ma non tutte le associazioni tra consumo moderato di alcool e vita più lunga. Bevendo un drink al giorno una persona dimezza il rischio di morire nel corso dei successivi quattro anni, secondo la ricerca effettuata dal dottor J. Lee Sei del San Francisco VA Medical Center.

Dopo aver preso in considerazione diversi fattori che potrebbero influenzare l’uso di alcool e la mortalità, l’effetto è stato indebolito, tra i bevitori moderati, del 28% in meno rispetto ai non bevitori. Il primo studio a dimostrare che i bevitori moderati vivono più a lungo è stato pubblicato nel lontano 1923. Secondo questo i bevitori moderati sono semplicemente più sani globalmente rispetto ai non bevitori e a quelli che, al contrario, abusano con l’alcool.

I ricercatori hanno studiato il ruolo di due fattori di rischio associati con la mortalità che finora non erano mai stati studiati insieme: la disabilità funzionale e lo status socioeconomico. Hanno esaminato 12.519 uomini e donne, di età superiore ai 55 anni per quattro anni. Il 14% dei non bevitori in questo lasso di tempo è morto, rispetto al 7% dei bevitori moderati e del 12% delle persone che bevevano di più, come quelli che ad esempio bevevano tre o più drink al giorno.

Individuato metodo per bloccare l’alcool-dipendenza

Ricercatori dell’Accademia Sahlgrenska, Göteborg (Svezia), hanno scoperto un nuovo meccanismo del cervello che è coinvolto nella dipendenza da alcool insieme all’ormone dello stomaco chiamato grelina. Quando le azioni della grelina nel cervello sono bloccate, gli effetti dell’alcool sul sistema di ricompensa sono ridotti. Si tratta di un importante scoperta che potrebbe portare a nuove terapie per le dipendenze.

La grelina è un ormone prodotto dallo stomaco il quale invia dei segnali al cervello come ad esempio l’aumento della fame. La nuova ricerca sottolinea che il sistema di ricompensa del cervello è un obiettivo chiave per gli effetti della grelina:

L’azione della grelina nel cervello può essere importante per tutti i tipi di dipendenze, tra cui le droghe chimiche, l’alcool e persino il cibo

spiega Suzanne Dickson, professore di Fisiologia, ed uno dei maggiori esperti nel campo della regolazione dell’appetito.

Fumare danneggia anche il cervello

Nuove ricerche che saranno pubblicate sul Journal of Neurochemistry suggeriscono un legame diretto tra fumo e danni cerebrali. I ricercatori, guidati da Debapriya Ghosh e dal dott. Anirban Basu dell’Indian National Brain Research Centre, hanno scoperto che un composto di tabacco provoca un attacco dei globuli bianchi nel sistema nervoso centrale verso le cellule sane, il che comporta gravi danni neurologici.

I ricercatori si sono concentrati su un composto noto come NNK, che è comune nel tabacco. L’NNK è un procarcinogeno, una sostanza chimica che diventa cancerogena quando è alterata dal processo metabolico del corpo. A differenza dell’alcool o delle droghe, l’NNK non sembra danneggiare direttamente le cellule del cervello, ma può causare neuroinfiammazione, una condizione che porta a malattie come la sclerosi multipla.

Alcolismo: gli uomini bevono meno di 30 anni fa, le donne di più

Una nuova ricerca della Washington University School of Medicine di St. Louis ha trovato sostanziali riduzioni dell’ubriachezza a livello nazionale ad ogni eta rispetto a quasi 30 anni fa, con una sola eccezione: gli studenti universitari. I tassi di ubriachezza nei maschi universitari rimangono invariati, ma il tasso delle donne della stessa età sono aumentati drammaticamente. Secondo l’American Academy of child and adolescent psychiatry, anche se le iniziative politiche volte a ridurre i tassi di ubriachezza nei giovani generalmente hanno avuto successo, soprattutto tra i minorenni, resta un problema durante il college.

I ricercatori, guidati da Richard A. Grucza, professore assistente di psichiatria, analizza dati raccolti tra il 1979 e il 2006 dal National Survey on Drug Use and Health. Le informazioni provengono da più di 500.000 soggetti, divisi in gruppi in base a età, sesso, etnia e status di studente. Spiega Gruzca:

Abbiamo trovato che, nel complesso, l’ubriacatura è meno comune di quello che era una volta. I giovani rappresentano la maggioranza dei bevitori, e le loro bevute sono diminuite notevolmente dal 1979. Tuttavia, al tempo stesso, il ‘divario’ tra maschi e femmine è stato sempre inferiore. In questo studio, abbiamo riscontrato che le donne ora bevono di più, e il loro tasso di ubriacatura è aumentato negli ultimi 30 anni.

Ubriacatura è definita come bere cinque o più bevande in una determinata occasione. Nel 2006, ultimo anno analizzato, più della metà della popolazione “ubriaca” del college era maschio, e quasi il 40% femmina. Ma i ricercatori hanno scoperto riduzioni nel bere, soprattutto tra i ragazzi e giovani intorno ai 20 anni. Nei maschi tra 15 e 17 anni, il tasso di alcolismo è diminuito di quasi il 50% dal 1979 al 2006. Durante lo stesso periodo, il tasso è sceso di oltre il 20% nei maschi tra 18 e 20 anni e del 10% tra 21 e 23.

La cannabis aumenta il rischio di contrarre il cancro

Molti studi hanno dimostrato che la marijuana non è così innocua come molti credono. Pare sia vero che letteralmente frigga il cervello e contribuisca alla psicosi. L’ultima “prova convincente” la portano dei ricercatori inglesi, i quali hanno dimostrato che il fumo di marijuana danneggia il materiale genetico del DNA, in modo che esso possa aumentare il rischio di contrarre il cancro.

Si sa da molto tempo che le sostanze tossiche presenti nel fumo di tabacco possono danneggiare il DNA ed aumentare il rischio di cancro del polmone e altre patologie. Tuttavia, non vi è stata mai la certezza se il fumo di marijuana abbia lo stesso effetto. Certo è che mescolando anche il tabacco alla marijuana, gli effetti delle sigarette si potevano avere anche sulle canne. Gli scienziati sono particolarmente preoccupati per la tossicità dell’acetaldeide, una sostanza presente sia nel tabacco che nella marijuana. Tuttavia, è stato difficile misurare il danno al DNA dovuto all’acetaldeide con test i convenzionali.