Non riesci a fare a meno dello shopping? Leggi un pò qui!

Avete mai sentito parlare di shopping compulsivo? di dipendenza da shopping? Si tratta di un impulso irrefrenabile ad acquistare una quantità di oggetti spesso superflui che si configura come una vera e propria dipendenza. La Sindrome da shopping compulsivo è infatti spesso annoverata tra le cosiddette “nuove dipendenze” insieme al gioco d’azzardo, alla dipendenza da internet e a quella da sport estremi.Si tratta quindi di dipendenze da un comportamento definite addiction (per distinguerle dalle dipendenze da sostanze come la cocaina o l’alcol). Potremmo definirle, analogamente a quanto avviene per anoressia e bulimia, sindromi “time and culture bounding”, in quanto si tratta di condizioni nelle quali il disagio individuale trova espressione attraverso l’esasperazione di modalità e stili di vita caratteristici della cultura di appartenenza dell’individuo.

Questo tipo di disturbo spesso conduce all’acquisto di oggetti, non solo superflui, ma anche al di fuori delle proprie possibilità economiche, o che rappresentano una variante dello stesso articolo, che spesso finiscono per essere gettati o regalati. A grandi linee è possibile distinguere due tipologie di shopping patologico: lo shopping patologico come espressione di patologie quali i disturbi dell’umore o d’ansia e lo shopping patologico come espressione di un impulso irrefrenabile all’acquisto. Nel primo caso si tratta di un comportamento compensatorio adottato per colmare il vuoto o la solitudine, (d’altra parte a molti è capitato, in condizioni di assoluta sanità, di concedersi un piccolo regalo per scacciare la tristezza o il malumore), nel secondo caso di un comportamento complulsivo, che cioè non si può fare a meno di porre in atto.

La psicologia di massa. Il comportamento degli uomini nelle folle

L’uomo discende davvero dalla scimmia? Vale la pena di porsi l’interrogativo se una ricerca pone l’accento sul comportamento degli esseri umani quando si trovano immersi in una folla defininendolo equiparabile a quello di un gregge di pecore. La ricerca, pubblicata sulla rivista Animal Behaviour a onor del vero non è certamente il primo studio ad occuparsi dell’effetto della folla sulla psiche umana. E’ datato 1895 il testo “Psicologia delle folle” di Gustav Le Bon, che indusse Sigmund Freud ad occuparsi dell’argomento nel suo “Psicologia delle masse e analisi dell’Io” datato 1921. E non sono mancati fino ad oggi gli studi e i contributi sulla psicologia di massa e sui fenomeni di depersonalizzazione che possono occorrere agli individui che si ritrovano travolti da una folla.

Tuttavia, la ricerca rileva come gli individui riuniti in una folla tendano a seguire, senza porsi domande, un numero ristretto di persone che sembrano sapere dove andare e/o cosa fare. Il professor Jens Krause dell’Università di Leeds ha condotto un esperimento nel corso del quale un gruppo di volontari è stato invitato ad aggirarsi in una grande sala senza una meta precisa e senza parlare con gli altri partecipanti. Solo a un piccolo numero di essi erano state date istruzioni precise: lo studio ha evidenziato come il comportamento di queste era in grado di influenzare le scelte di tutti gli altri (circa 200 persone).

I film horror tranquillizzano i delinquenti

Forse i molti registi di film horror non avrebbero mai pensato che facendo scorrere fiumi di sangue in un genere splatter avrebbero salvato invece molte vite.Uno studio americano afferma che i film violenti possono aiutare a prevenire il crimine, tenendo potenziali delinquenti lontano da un habitat “pericoloso” e portandoli dentro le sale cinematografiche ad abbuffarsi di pop-corn.

Gli autori della ricerca sono Gordon Dahl, dell’Università di San Diego , e Stefano Della Vigna, italiano, professore di Economia a Berkeley, in California. A giudicare dai risultati dello studio, grazie alla visione di film violenti, negli Usa ci sono state 52mila aggressioni in meno all’anno.

Guardando un delinquente in celluloide mentre commette un omicidio al posto loro – si legge nell’articolo – i cosiddetti “border-line” (cioè le persone a rischio) potrebbero sublimare il loro desiderio di violenza attraverso la visione di un film“. In base a questo ragionamento -spiega Gordon Dahl- se si togliessero i film violenti ci sarebbe il rischio di far aumentare la criminalità nelle strade.

Vincere un male oscuro: la depressione

Un senso di immobilità, di paralisi interiore, di impotenza ci pervade: in questo stesso istante almeno una persona su venti si sente depressa, per un totale complessivo di almeno tre milioni di italiani. Ci sentiamo in
trappola, imprigionati non si sa bene dove e in che cosa.

Eppure, secondo le ipotesi della medicina complementare e olistica – che interpreta l’uomo come un insieme armonico di mente, corpo, emozioni ed energia spirituale – esiste un nesso tra depressione e vitalità. Il messaggio di questo malessere, fortunatamente, è molto più totale, profondo e “potenzialmente salutare“, esordisce Manuela Maria Mancini, giornalista e trainer di seminari di Respiro Trasformativo.

Il sintomo è un nostro alleato, che può portarci ad una reale trasformazione. “Emozioni forti, vitali, ricche di energia, compresse e negate per troppo tempo chiedono di potersi esprimere e per far questo sono disposte a tutto, anche a impedirci di vivere“. Quando ci sentiamo inadeguati, con energie insufficienti, abbiamo la forte sensazione di non farcela, il più piccolo ostacolo appare insormontabile, soffriamo di astenia, ecco che l’omeopatia risveglia le capacità di reazione dell’organismo: è una medicina di tipo informativo che agisce sulle situazioni psicologiche e spirituali dando il segnale di cosa non funziona e facendo scaturire dentro di noi le risposte su cosafare per autoguarirsi.

Non ne posso più di lavorare! La Sindrome del burnout nelle professioni d’aiuto

La Sindrome del burnout è uno stato di sofferenza psichica che interessa quasi esclusivamente gli operatori del terziario sociale, ovvero tutte quelle professioni nelle quali il rapporto operatore-utente rappresenta un elemento centrale per lo svolgimento del lavoro. Ad essere interessati da questo fenomeno sono dunque gli ambiti lavorativi nei quali gli operatori sono costantemente in contatto con l’utenza e devono provvedere alle esigenze di ogni singolo individuo. E’ il caso di medici, infermieri, psicologi, assistenti sociali, ma anche insegnanti, per citare solo alcune delle categorie professionali coinvolte.

La persona affetta da burnout sperimenta uno stato di disagio legato allo svolgimento della propria attività professionale che comincia ad essere vissuta unicamente come fonte di stress. Questo induce ad una progressiva perdita di interesse e di concentrazione e ad un atteggiamento freddo e distaccato cui si aggiunge la sensazione sgradevole di non svolgere il proprio lavoro in maniera adeguata.

Fobie. Le camaleontiche forme dell’ansia

La Fobia è un Disturbo d’ansia caratterizzato da una incontrollabile e irrazionale paura di un oggetto o situazione che porta la persona al suo evitamento. Le persone affette da questo tipo di disturbo sanno perfettamente che la loro paura è sproporzionata e spesso immotivata ma nonostante ciò non riescono a cambiare le cose. L’ansia fobica si distingue dalla paura pura e semplice per la presenza delle condotte di evitamento che portano l’individuo non solo a temere una data situazione o oggetto ma anche ad “evitare” di imbattervisi mettendo in atto, a questo scopo, tutta una serie di comportamenti e strategie che rischiano di causare loro un elevato grado di disagio personale e relazionale.

In letteratura troviamo distinti tre tipi di fobie: Agorafobia, che può essere più o meno associata con attacchi di panico, Fobia specifica e Fobia sociale. L’Agorafobia è la paura di ritrovarsi soli in ambienti pubblici dai quali sia percepita impossibile la fuga. Quando l’Agorafobia è associata ad attacchi di panico, un fattore determinante per la sua insorgenza è rappresentato dal timore delle conseguenze sociali dell’avere un attacco di panico in pubblico. Tipicamente la persona agorafobica teme i luoghi pubblici come i negozi, i treni, gli autobus. La Fobia sociale si riferisce alla paura di parlare o esibirsi in pubblico per il timore, irrazionale, di commettere atti impulsivi contrari al comune senso del decoro e/o del pudore che potrebbero esporre la persona a giudizi negativi. L’ansia fisiologica, comunemente sperimentata da tutti prima di parlare o mostrarsi in una situazione “pubblica”, diventa in questi individui patologica al punto di impedire loro questo tipo di performances.

I disturbi d’ansia. Come riconoscerli e affrontarli

L’Ansia è uno stato d’animo caratterizzato da spiacevoli sensazioni fisiche e psichiche che incutono nell’individuo una sensazione simile alla paura, dalla quale l’Ansia si distingue per il fatto di non insorgere necessariamente in risposta ad uno stimolo specifico. L’insorgenza di uno stato d’ansia è accompagnata da sintomi fisici specifici come tachicardia, difficoltà respiratorie, dolori al petto, tremori, secchezza delle fauci, dolori addominali, pallore o rossore. Occorre precisare che l’Ansia di per se stessa è un fenomeno fisiologico, connaturato strettamente alla natura umana che svolge importanti funzioni relative alla sopravvivenza e all’adattamento, un grado di ansia moderato infatti, attraverso l’aumento della concentrazione, della tensione muscolare, dell’attenzione ci aiuta ad adattarci a tutte le situazioni quotidiane che richiedono una risposta efficace.

L’Ansia comincia a rappresentare un problema quando lo stato di attivazione che essa induce si prolunga troppo nel tempo o si manifesta in maniera aspecifica. In questo caso l’Ansia da fisiologica si trasforma in patologica e può causare disagi alla persona o essere alla base di un vero e proprio disturbo psichico. E’ possibile infatti distinguere lievi disturbi d’ansia facilmente risolvibili da Disturbi d’ansia veri e propri nei quali l’ansia da luogo ad una serie di comportamenti, apparentemente inspiegabili e irrazionali, tesi a limitarla. In entrambi i casi è opportuno ricorrere a un professionista della salute mentale (psicologo o psichiatra).

Training Autogeno. Come può aiutarci

Il Training Autogeno nasce, ufficialmente, nel 1932 ad opera del neurologo tedesco J.H. Schultz con la pubblicazione del testo “Il Training Autogeno”, frutto di anni di studio e ricerca. Oltre ad essere un ottimo metodo di rilassamento e concentrazione il Training Autogeno è un vero e proprio strumento di cambiamento psicofisiologico che può migliorare l’efficienza personale e alleviare piccoli disturbi conseguenza di stress e ansia.

La pratica del Training Autogeno consiste nello svolgimento quotidiano di alcuni “esercizi” mentali che consistono, nel moderno T.A. nella visualizzazione di immagini e nella ripetizione di frasi atte ad ottenere gli effetti desiderati. Più precisamente, attraverso gli “esercizi” l’individuo concentra l’attenzione sul corpo, o su parti di esso, e mediante l’autosuggestione induce cambiamenti psicofisici quali il raggiungimento di uno stato di rilassamento generale, la regolarizzazione del battito cardiaco, del ritmo respiratorio e così via. Sono tre, infatti i livelli di azione del T.A.: fisiologico, perchè attraverso la sua pratica corretta e costante è possibile ottenere cambiamenti al livello del sistema nervoso autonomo, che regola le emozioni, e del sistema endocrino, che regola gli ormoni, fisico, dal momento che i suddetti cambiamenti inducono uno stato di benessere somatico generale, e psicologico perchè permette di superare gli stati d’ansia, le tensioni, di migliorare la concentrazione e dunque anche il rendimento della persona nello svolgimento di attività che richiedono particolare impegno psicofisico (a questo scopo è molto praticato da attori e sportivi)

Sconfiggere la Bulimia. L’approccio multidisciplinare come trattamento elettivo

La bulimia è un disturbo dell’alimentazione che può presentare un decorso variabile: da un singolo episodio risolvibile in poco tempo allo strutturarsi di una forma cronica con un discreto rischio di morte per complicanze mediche o suicidio.

La terapia dei disturbi del comportamento alimentare, come l’anoressia e la bulimia, presenta svariate difficoltà legate all’atteggiamento dei pazienti che in genere negano la patologia e sono scarsamente collaborativi, e spesso presentano, in concomitanza, altre patologie di interesse psichiatrico oltre ad un elevato rischio di suicidio. Nella gran parte dei casi la terapia è ambulatoriale. Si rende necessario il ricovero quando la terapia ambulatoriale si rivela insufficiente, si verificano importanti squilibri elettrolitici, la paziente presenta in comorbilità gravi disturbi psichici, è a rischio di suicidio, o è necessario allontanarla da relazioni familiari patologiche.
In ogni caso è di fondamentale importanza che l’intervento sia calibrato in funzione delle specifiche esigenze della paziente.

Bulimia e Anoressia. Quando le vittime sono gli uomini.

Al contrario di quanto si crede comunemente i disturbi del comportamento alimentare non affliggono soltanto le donne. Infatti sebbene la stragrande maggioranza delle persone colpite da disturbi del comportamento alimentare, quali anoressia e bulimia, siano di sesso femminile, è sempre più evidente che è in aumento il numero degli uomini affetti da questo tipo di patologia. Si stima che circa il 5-10% dei pazienti anoressici e il 10-15% dei pazienti bulimici siano maschi.

L’incidenza dei disturbi del comportamento alimentare nei maschi è sottovalutata sia perchè, data la prevalenza del disturbo tra le donne, si tende a non porre la diagnosi, sia perchè alcuni comportamenti, come le abbuffate nel caso della bulimia, sono socialmente più accettati se messi in pratica da un uomo. La diagnosi è inoltre resa difficoltosa dal fatto che i criteri diagnostici sono classicamente riferiti a pazienti di sesso femminile, ad esempio uno dei criteri principali per porre una diagnosi di anoressia è l’alterazione del ciclo mestruale con amenorrea protratta.

Anche per il maschio anoressico/bulimico il rapporto col cibo, col peso e con il corpo subiscono una distorsione causata da problematiche inerenti la sfera affettiva della persona – non viene mai abbastanza sottolineato come anoressia e bulimia non rappresentino semplicemente patologie legate ad errate abitudini alimentari dettate dal desiderio di pervenire alla forma fisica ideale– . La società occidentale infatti comincia ad imporre in maniera crescente anche agli uomini elevati standard di bellezza cui adeguarsi, rappresentati, in questo caso, più che dal controllo del peso dalla prestanza fisica.
Da numerosi studi è emerso infatti che gli uomini bulimici e/o anoressici sono meno ossessionati dal peso e ricorrono in maniera minore rispetto alle donne a diuretici e/o lassativi mentre è più diffuso il ricorso a esercizi fisici estenuanti. Spesso il disturbo, nel caso dell’anoressia, viene celato dal regime alimentare rigoroso richiesto da molte pratiche sportive, soprattutto nel caso di pazienti che abbiano praticato sport a livello agonistico.