L’associazione Luca Coscioni ed il Partito Radicale hanno diffuso in questi giorni uno spot pro eutanasia realizzato dalla Exit international e già bloccato dall’autorità per le comunicazioni australiana. Pochi minuti di filmato per difendere una scelta, quella sul fine vita, messa sullo stesso piano delle tante altre decisioni importanti che siamo chiamati a prendere nel corso della nostra esistenza: cosa studiare, con chi trascorrere i nostri giorni, persino il taglio di capelli.
L’associazione della morte ad eventi anche banali se vogliamo, non è affatto casuale. La vita finisce: è naturale. Vivere è un tempo finito e, pur riconoscendo il diritto a prolungarlo quanto più possibile, malgrado le sofferenze, di quanti vogliono ancora combattere per vedere sorgere il sole, bisogna d’altro canto tutelare le volontà dei malati terminali quando queste siano orientate verso l’altra di scelta: l’eutanasia.
Questa parola troppo a lungo tabù per la politica, anche se vicina al vissuto delle persone. Basti pensare che, secondo i dati diffusi dal rapporto Eurispes 2010, ben il 67% degli italiani è favorevole alla legalizzazione di quella che non è giusto nemmeno definire una morte dolce o buona, quanto opportuna quando si sente che le condizioni di vita non sono più sostenibili. Così Marco Cappato, segretario dell’associazione Coscioni, difende la sua di scelta, quella di contribuire a promuovere più possibile questo spot, malgrado l’evidente disappunto dei cattolici e nonostante le numerose censure cui è già andato incontro, salvandosi fortunatamente, come era prevedibile, nella libertà democratica della rete.
E’ uno spot molto rispettoso e molto dignitoso in cui un malato terminale racconta la sua esperienza e chiede al governo che sia rispettata la sua scelta, spiega Cappato.
Eutanasia, prosegue, non è una parola che le persone legano a questa o quella forma giuridica, ma che è vicina al loro vissuto. Mentre la politica ha bisogno di giocare con le parole, riempendo il tema di formalismi, facendo distinzioni da clerici del diritto su quello che è o non è terapia. Così si possono interrompere le terapie ma non si può chiedere un’iniezione letale, anche se il risultato è lo stesso.
Continueremo a batterci in Parlamento perché escano leggi ‘meno peggiori’ possibile. Ora vogliamo riprendere la bandiera di questa parola, che per noi è parte integrante del diritto alla salute, come tutte le scelte sul fine vita, e poi vedere quello che succede, conclude.
[Fonte: Repubblica Micro Mega]