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Cuore, una rete per salvare quello “stanco”

 Una piccola rete da apporre attorno al cuore per aiutare chi soffre di scompenso cardiaco. E’ questo il risultato di una particolare ricerca condotta dagli scienziati dell’ospedale Anthea di Bari, i quali hanno dimostrato che un dispositivo di questo genere, posto attorno ai ventricoli affaticati, aiuta il cuore stesso a pompare meglio il sangue senza affaticarsi troppo.Lo studio, pubblicato sulla rivista Annals of Thoracic Surgery conferma l’efficacia di una sperimentazione iniziata circa dieci anni fa.

Come spiega Giuseppe Speziale, coordinatore della ricerca:

Si tratta di una sorta di “calzino” che, attraverso un intervento chirurgico, viene messo attorno ai ventricoli del cuore dilatato dei pazienti. Il candidato ideale è un paziente che non abbia uno scompenso terminale, ovvero una malattia ormai irreversibile contro cui c’è ben poco da fare se non ricorrere a un trapianto o all’assistenza meccanica: dobbiamo riuscire a intercettare i pazienti un po’ prima, quando sono in stadio avanzato ma non troppo.

Questo perché la rete è si efficace, ma non per le situazioni considerabili disperate, nelle quali l’organo appare deteriorato. Continua il ricercatore:

La rete infatti “contiene” le camere cardiache aumentando la contrattilità del cuore, che quindi pompa meglio il sangue in circolo: finora non è stata mai dimostrata una riduzione della mortalità, ma indubbiamente i pazienti si sentono meglio e si riducono i ricoveri.

Con risultati soddisfacenti per la qualità di vita dei pazienti che in alcuni casi hanno ripreso a compiere azioni, come quelle di passeggiare, che non facevano da tempo. Quello dello scompenso cardiaco è un disturbo  particolare, che a seconda della gravità e dell’intensità può essere curato in sala operatoria o attraverso terapie specifiche. Nel primo caso purtroppo i centri che effettuano questo tipo di operazione sul territorio italiano sono molto pochi, circa sei, ed il costo dell’intervento si aggira sui 10mila euro.

La retina, rispetto ad un intervento di questo genere, non rappresenta certo una cura definitiva ma da teoricamente modo a chiunque di poter condurre una vita normale nonostante la presenza di questa patologia cardiaca.

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Fonte: Corriere della Sera