Se c’è il rischio di trasmissione di gravi malattie genetiche è possibile sottoporre a test gli embrioni da impiantare in una fecondazione assistita. Un’ordinanza del giudice di Firenze del 22 dicembre, col valore di sentenza, ha riconosciuto le argomentazioni del ricorso di una coppia di milanesi contro il Centro che si è rifiutato di effettuare i test pre-impianto sugli embrioni. All’interno della coppia lei è portatrice di espostosi, una malattia della cartilagine che è trasmittibile al feto nel 50% dei casi. Inoltre il giudice ha stabilito che è lecito rifiutare il numero obbligatorio di 3 embrioni nel caso in cui una gravidanza gemellare può mettere a rischio la salute della madre. Questa sentenza è fondamentale perchè si rifà a una sentenza costituzionale del 1975 che faceva prevalere i diritti della madre su quelli del nascituro.
Questa è la seconda sentenza che scardina i principi della famosa legge 40 sulla procreazione assistita. Infatti, in precedenza, anche il Tribunale di Cagliari aveva permesso a una coppia portatrice di talassemia di fare il test pre-impianto sull’embrione, prima di trasferirlo nell’utero.
Queste sentenze stabiliscono il recupero di autonomia decisionale da parte del medico che fino ad oggi è stato sostanzialmente costretto, dai dettami della legge, a fare una scelta terapeutica obbligata.
In tal modo l’operatore è tenuto ad agire secondo le migliori regole della scienza non solo in relazione alla salute della madre ma anche del feto, come d’altronde è già previsto dal codice deontologico degli operatori sanitari.
Inoltre le decisioni di questi giudici creano un precedente per la legge 40 sulla procreazione artificiale in quanto si trova in contrasto con due sentenze costituzionali.
Anche l’attuale ministro per le Politiche giovanili Giovanni Melandri si è trovata favorevole alla sentenza fiorentina che “dimostra che la legge 40, nel punto che riguarda il divieto di diagnosi pre-impianto, è semplicemente una legge crudele”.