Finalmente, dopo più di un mese di silenzio dettato dalle sue condizioni, parla il medico italiano di Emergency contagiato dall’ebola in Sierra Leone. Spiegando di essere una delle tante persone che hanno voluto opporsi in Africa a questa malattia.
Non pensa di essere un eroe, il paziente zero italiano dell’ebola, ma è sicuro di non essere “un untore”. Il suo percorso allo Spallanzani di Roma, il centro di riferimento nazionale per questa patologia, non è stato privo di asperità: lui stesso racconta di non ricordare nulla delle due settimane nelle quali le sue condizioni si sono aggravate. L’uomo si trova ancora in isolamento, ma finalmente è in grado di parlare, esprimersi: ha ritrovato, come da lui stesso sottolineato, il controllo del proprio corpo. E pensa a tutti i colleghi che ha lasciato in Africa, a combattere contro i contagi che il virus dell’ebola riesce così facilmente a creare. Colpiscono le sue parole:
[…]Da qualche giorno sto meglio, lentamente ho ripreso in mano il controllo del mio corpo, riesco a muovermi in autonomia; da qualche giorno ho iniziato a leggere qualcosa di ciò che è stato pubblicato a proposito della mia vicenda; in larga misura parole di conforto, di sostegno e augurali ma anche parole che possono essere giustificate solo dall’ignoranza. Non credo di essere un “eroe” ma so per certo di non essere un “untore”: sono solo un soldato che si è ferito nella lotta contro un nemico spietato. […]Ebola è un mostro terribile e temibile ma sono convinto che la sconfitta di questo mostro dipenda in larga misura dal fronte che lo ostacola. Spero che questo fronte possa allargarsi e opporsi a Ebola in modo sempre più efficace.
Un messaggio che fa sperare in una vicina e futura dimissione, magari all’inizio del prossimo anno. In modo tale che lo stesso possa finalmente riabbracciare i suoi cari.
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