Controllare la glicemia per me e un’abitudine, quasi come allacciarmi le scarpe». Valerio ha 19 anni e tre presenze costanti nella vita: l’insulina, una palla da basket e la batteria. Lo accompagnano da quando era bambino. Valerio ha un sito, dove si racconta e racconta agli altri la normalità dell’essere diabetici. «Sul homepage del mio sito ho scritto “Dal diabete non si può ancora guarire. Ma ci si può convivere. E persino dimenticarsi di averio”. La mia storia con questa malattia è iniziata quando avevo sette anni: mangiavo e bevevo molto, ma dimagrivo a vista d’occhio. Fino a quando un esame delle urine ha mostrato che glucosio e acetone erano alle stelle.
Poi la corsa al Bambin Gesù dove mi hanno attaccato a una flebo di insulina. Da allora i medici mi hanno spinto a fare subito tutto da solo: misurare la glicemia, somministrarmi l’insulina. È tutto più facile da quando, era il 2005, uso il microinfusore, una pompa che rilascia continue microquantità di insulina sottocute. E fa persino il calcolo dei carboidrati che mangio. Tanto che a volte mi dimentico di avere il diabete. Se si eccettua il microinfusore, il controllo della glicemia quattro o cinque volte al giorno e la visita ogni sei mesi, sono come tutti gli altri ragazzi. La rabbia di avere il diabete l’ho persa per strada.