Lo smog, si sa, fa male all’atmosfera terrestre ed è una delle cause del riscaldamento globale, ma ora una ricerca suggerisce che l’ozono, un componente chiave dello smog, danneggia anche le cellule della pelle umana.
Auto e fabbriche emettono nell’aria agenti inquinanti che si combinano con i raggi del sole sotto forma di smog fotochimico. L’ozono nella bassa atmosfera contribuisce allo smog che è visibile ad occhio nudo, ma questo è diverso dall’ozono nell’alta atmosfera, che aiuta a proteggere la vita sulla Terra da dosi letali di radiazioni solari ultraviolette. I ricercatori presso l’Università del Wisconsin, a Madison, hanno esposto le cellule della pelle umana allo smog connesso all’ozono in laboratorio e hanno rilevato una reazione della meccanica cellulare allo stress, il che suggerisce che l’ozono può essere tossico per la pelle umana. Tuttavia, sono necessari ulteriori esperimenti per confermare queste conclusioni.
Lo smog si divide in radicali liberi quando viene colpito dai raggi dal sole. Questi radicali liberi all’interno delle cellule saltano come fossero “palline”, distruggendo la maggior parte delle cellule che trovano. I danni dei radicali liberi si pensa siano implicati in malattie come il cancro, malattie cardiache, morbo di Alzheimer e il morbo di Parkinson.
Mentre gli effetti dannosi sul nostro sistema respiratorio causati dallo smog sono stati ben studiati da anni, ancora poco si sa su come lo smog colpisce la nostra pelle, nonostante ci siano milioni di persone che vivono in centri urbani e suburbani, le quali sono ripetutamente esposte all’ozono tutti i giorni.
La ricerca di laboratorio ha coinvolto ed isolato le cellule della pelle normalmente esposte a 0,3 parti per milione di ozono. I tipici livelli di ozono nelle grandi città possono variare da 0,2 a 1,2 ppm. In laboratorio, l’esposizione all’ozono ha potenziato l’attività degli enzimi che convertono gli inquinanti ambientali e il fumo di sigaretta in composti più tossici, apportando modifiche preoccupanti. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Journal of Investigative Dermatology.
[Fonte: Livescience]