La linfa dell’Eufhorbia peplus potrebbe rappresentare la cura di alcuni frequenti tumori della pelle. Uno studio al riguardo, condotto presso il Queensland Institute of Medical Research in Australia e pubblicato sul British Journal of Dermatology ne svela le potenzialità. Occorre subito dire che la terapia in questione (ancora alle prime fasi di sperimentazione) non riguarderebbe il temuto melanoma, bensì quei tumori cutanei ritenuti “minori” ma non per questo da trascurare. Stiamo infatti parlando del carcinoma a cellule basali e di quello a cellule squamose, molto frequenti, specie nella popolazione anziana. Lo studio in questione ha coinvolto 36 pazienti colpiti da tali lesioni tumorali. I volontari sono stati trattati per tre giorni consecutivi con l’applicazione di un farmaco sperimentale derivato dalla linfa dell’Euforbia.
Ebbene, 41 lesioni su 48, dopo 30 giorni erano scomparse e a distanza di 15 mesi non c’era traccia di recidiva nel 68% dei casi. La particolarità di questa terapia sembra risiedere proprio in questa percentuale: l’estratto della linfa dell’Euforbia non distrugge direttamente le cellule cancerose, ma sarebbe in grado di attivare i neutrofili, (globuli bianchi che intervengono nel sistema immunitario), capaci di scovare e distruggere le cellule tumorali, evitando le recidive, spesso, come nel caso del melanoma, più pericolose del primo cancro. Una curiosità alla famiglia dell’Euforbia appartengono numerose tipologie di piante: tra queste, la tradizionale Stella di Natale! Come molti sanno, il fluido che fuoriesce da tale simbolo festivo è urticante: provoca cioè una reazione cutanea che può essere anche molto violenta. Questa caratteristica appartiene a quasi tutte le piante della medesima famiglia. Dunque, spiegano i ricercatori: mai attivarsi in rimedi fatti in casa. Può essere pericoloso.
Il nuovo farmaco deriva dalla linfa dell’Euforbia, ma è stato adeguatamente trattato. Inoltre, non bisogna dare questa cura per scontata e già attiva. Tutt’altro. Si è trattato di una sperimentazione, che andrà ancora testata e provata, su un numero più vasto di pazienti e soprattutto per un periodo di tempo più lungo. Anche in questo caso occorre aspettare che la ricerca faccia il proprio corso.
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