La nascita di una nuova vita è sempre un evento positivo, da accogliere con gioia e trepidazione. Eppure fino a qualche decennio fa, quando ancora si partoriva in casa con le ostetriche, erano molti i casi in cui la gravidanza terminava con la morte della donna a causa di complicazioni, emorragie, infezioni.
Oggi fortunatamente le cose sono cambiate e le strutture ospedaliere offrono un pronto intervento nel caso il parto presentasse anomalie.
Le morti di parto sono diminuite sensibilmente, anche se al contrario di quanto si crede, il rischio di un decesso della madre al momento della messa alla luce di un figlio non sono affatto totalmente scongiurate. Tutt’altro. Il margine di rischio resta ancora molto, troppo alto, a quanto si evince da una denuncia presentata dai ginecologi italiani in occasione della presentazione del primo Congresso nazionale della Federazione italiana di ostetricia e ginecologia (Fiog).
In Italia non tutte le strutture sanitarie sono adeguate a risolvere le emergenze che si presentano in sala parto ed anche in questo caso, come per molti altri interventi sanitari diversi, esistono degli ospedali di serie A e degli ospedali di serie B.
E’ proprio questo dislivello nella qualità del servizio prestato a determinare l’incapacità di alcune aziende ospedaliere di intervenire opportunamente, salvando la madre dalla morte in caso si vengano a determinare gravi complicazioni. Come spiega all’Ansa lo stesso presidente dell’Associazione ginecologi universitari italiani (Agui) Massimo Moscarini:
Non sempre la nascita è sicura e ci sono strutture di serie A e B. Una realtà che può diventare un dramma quando l’evento nascita si trasforma in emergenza: 80 parti su 100 non hanno problemi, ma 10 possono essere ad altissimo rischio per mamma e bambino.
Le differenze nella qualità del servizio sanitario relativo al parto, neanche a farlo apposta, sono ancora una volta tra Nord e Sud. E’ proprio al meridione che si verificano maggiori incompetenze nelle prestazioni offerte. Questo perchè un parto su tre avviene in strutture che hanno meno di 500 parti all’anno, con scarsa esperienza e attrezzature inadeguate ad affrontare le emergenze.