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Cresce la chirurgia robotica, l’Italia è seconda al mondo

Passi da gigante in sala operatoria, anzi “passi da robot”. Alcuni difficili interventi di chirurgia pelvica, come la riapertura delle tube, ma anche l’asportazione di tumori ginecologici come quello dell’utero si possono oggi effettuare con la chirurgia robotica. La Robotic Assisted Surgery consente all’operatore di praticare un intervento chirurgico manovrando a distanza un robot non completamente autonomo ma capace di eseguire manovre comandate. È una tecnica entrata in uso recentemente, sia pure in centri selezionati, e rappresenta un ulteriore passo nell’ambito della chirurgia mini-invasiva. Il chirurgo è distante fisicamente dal campo operatorio e siede ad una consolle dotata di un monitor dalla quale, attraverso un sistema complesso, comanda il movimento dei bracci robotici.

A questi vengono fissati i vari ferri chirurgici: pinze, forbici, dissettori che un’equipe presente al tavolo operatorio provvede ad introdurre nella cavità sede dell’intervento. L’Italia è seconda al mondo, dopo gli Stati Uniti, con 1.585 casi trattati in 29 ospedali: lo rivelano i dati presentati a Roma al Congresso della Minimally Invasive Robotic Association (Mira).

“Ricorrendo a questa tecnica e a questa innovativa modalità di operazione – afferma Pier Cristofono Giulianotti, direttore della Divisione di chirurgia robotica dell’Illinois University di Chicago e della Scuola internazionale di Chirurgia robotica di Grosseto – si ha una massima precisione, un minor ricorso alle trasfusioni e una ripresa della convalescenza del paziente, più rapida rispetto alla chirurgia tradizionale: anche tre, quattro giorni in meno di degenza”.

Grazie all’aiuto del robot, il chirurgo opera su un campo operatorio ripreso dall’interno degli organi attraverso una telecamera che proietta le immagini su un monitor. Si visualizzano così, nitidamente, gli organi e gli apparati, i sistemi venosi e arteriosi, compresi i piccoli vasi sanguigni e i nervi che nella chirurgia tradizionale non si vedono e potrebbero venir compromessi. Oltre a limitare il rischio di emorragie, col ricorso al robot si riduce la risposta infiammatoria che potrebbe accentuare la diffusione delle cellule tumorali. Il paziente oncologico è meno debilitato e può affrontare meglio la chemioterapia.