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Per prevenire il raffreddore meglio la tintarella che la spremuta d’arancia

I medici si sbagliavano. Per decenni ci hanno raccontato che per prevenire malattie da raffreddamento bisognava assumere molta vitamina C. Ma allora perché anche se mangiamo quintali di arance continuiamo ad ammalarci? Molto semplice: perché il problema non è lì.

Recenti studi dell’università del Colorado e del Massachusetts General Hospital di Boston, negli Stati Uniti, hanno dimostrato come per tanti anni abbiamo puntato sulla vitamina sbagliata. Non è la vitamina C che ci protegge dal raffreddamento, ma la D. In particolare se prodotta stando al sole. E’ possibile infatti assumerla attraverso integratori o alcuni cibi (latte e latticini), ma è ovvio che produrla in maniera naturale è molto più utile.

La ricerca si è basata sull’osservazione di 19 mila pazienti che presentavano diverse assunzioni della vitamina in questione. Misurando i livelli di 25-idrossivitamina D, i ricercatori hanno notato come coloro che ne avevano una quantità minore nel sangue (10 nanogrammi per millilitro di sangue) erano maggiormente esposti alle malattie da raffreddamento. Per la precisione avevano il 40% di possibilità in più di ammalarsi rispetto a coloro che possedevano più di 30 nanogrammi di vitamina D per millilitro di sangue. Da qui sono partite le ricerche che hanno rilevato come questo genere di vitamina sia in grado di aiutare il sistema immunitario a combattere le infezioni molto meglio della C, e gioca un ruolo fondamentale soprattutto in presenza di altre patologie come asma o broncopolmonite. In quel caso la carenza di vitamina D provoca una possibilità di contrarre altre malattie da raffreddamento 5 volte maggiore del normale.

Il dubbio inizialmente è venuto perché questo genere di condizione appariva in concomitanza con l’inverno, quando cioè non c’è solo il freddo, ma anche la mancanza del sole che, nascosto tra le nuvole, non permetteva al fisico umano di lavorare normalmente. Per questo il consiglio dei medici è cambiato, e cioè tentare di prendere il sole il più possibile durante l’inverno, quando magari capitano quelle giornate in cui fa capolino tra le nuvole. Ma intanto assegnare una cura a base di vitamina D è prematuro, dato che numerosi studi devono ancora essere portati a termine ed una terapia ancora non è pronta.

[Fonte: Corriere della Sera]