Ricordate che qualche tempo fa vi avevamo parlato del rincorrersi di studi dall’esito contraddittorio riguardanti gli effetti del cellulare sulla salute? Nel mese di Febbraio scorso infatti uno studio nipponico che affermava, senza timore di smentita, che usare il cellulare non provoca in alcun modo danni alla salute era stato clamorosamente contraddetto dai risultati di uno studio israeliano, pubblicato solo qualche giorno dopo, che aveva riscontrato un legame fra l’uso del cellulare e lo sviluppo di tumori alle ghiandole salivari. Bene, aggiungiamo oggi un altro pezzo alla nostra collezione di studi sull’argomento “cellulari e salute“. E anche stavolta le notizie non sono buone.
A lanciare l’allarme, dalle pagine del britannico The Indipendent, è l’illustre neurochirurgo Vini Khurama della Scuola di Medicina dell’Università Nazionale Australiana. Lo studioso australiano, che ha all’attivo ben trentasei ricerche sull’argomento e rappresenta quindi una vera autorità in materia, ha riesaminato oltre 100 contributi sulle relazioni fra cellulari e cancro affermando che che gli studi che hanno assolto il cellulare dall’accusa di causare il cancro non possono essere ritenuti validi poichè raramente prendono in esame persone che abbiano utilizzato il cellulare per oltre dieci anni, tempo necessario perchè i tumori si sviluppino. Secondo Khurama l’aumento dell’incidenza di tumori al cervello causati dal cellulare è una realtà che sarà inequivocabilmete provata nel prossimo decennio e che è destinata a diventare un’emergenza sanitaria superiore a quella rappresentata attualmente dai danni del fumo di sigaretta e dell’esposizione all’amianto. Khurama invita quindi a usare meno possibile i cellulari ed esorta i governi nazionali a prendere provvedimenti per arginare quello che rischia di diventare un problema di salute pubblica.
Non ha tardato a farsi attendere la replica dell’associazione degli operatori di telefonia mobile: MOA (Mobile Operators Association), che ha minimizzato lo studio di Khurama giudicandolo di fatto parziale e in contraddizione con i dati diffusi dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) e con i risultati ottenuti da almeno altri trenta studi analoghi.