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Leucemia linfoblastica acuta, la storia del piccolo Reece

Reece Holbrook aveva due anni quando i suoi genitori, Jennifer e Ciad, notarono dei lividi sospetti sulle gambe del piccolo:

“Abbiamo pensato che potesse trattarsi dei normali lividi che si procura un bambino di due anni vivace”, racconta Jennifer Holbrook, “ma quando abbiamo visto altri lividi sul torace e piccoli punti rossi, abbiamo immediatamente portato Reece dal pediatra”.

Il medico prescrisse degli esami del sangue e indirizzò subito i genitori all’UNC, il Lineberger Comprehensive Cancer Center afferente alla University of North Carolina School of Medicine. La diagnosi per il piccolo Reece fu di leucemia linfoblastica acuta.

La leucemia linfoblastica acuta colpisce soprattutto i bambini tra i 2 e i 5 anni ed è la responsabile per ben l’80% dei casi totali di bambini leucemici. Le cause di questa malattia si può dire che sono sconosciute, ma in realtà già molti studi hanno riscontrato come molti fattori possono provenire dal periodo prenatale: esposizioni a campi elettromagnetici e radon, a raggi X o a medicamenti, oppure all’esposizione lavorativa dei genitori a benzene.

Ad effettuare la diagnosi fu il dottor  Stuart Gold. Era il 7 settembre del 2004. Inizialmente il bambino trascorse una settimana in ospedale e successivamente ci furono altri due ricoveri. Le visite al centro anticancro diminuirono da una volta a settimana a una volta al mese quando Reece entrò nella clinica di oncologia pediatrica per ricevere la chemioterapia. A casa, ogni sera, Reece doveva prendere la medicina orale per la chemioterapia, a volte fino a 10 pillole al giorno. E ogni tre mesi, in aggiunta alla solita chemioterapia effettuare un prelievo spinale. Nonostante questo, Reece si è sempre mantenuto un bambino attivo:

“Sta sempre fuori a giocare a baseball, un passatempo che per noi è di famiglia”, raccontano i genitori.

Suo padre, Ciad, è infatti allenatore di baseball e sua madre, Jennifer, lavora in un centro di pallacanestro maschile. Per la famiglia è stato fondamentale il sostegno del personale clinico, di parenti ed amici. E i genitori raccontano di aver tratto coraggio dallo stesso Reece:

“Reece sembra non sapere di essere malato. Ha vissuto questa esperienza del cancro e la progressione della malattia senza sembrarne particolarmente sconvolto. Ha aiutato me e mio marito ad avere un atteggiamento positivo, prendendo le sue medicine e correndo a giocare come molti altri bambini della sua età”.

[Fonte: Peoplewithcancer.org]