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La glicemia alta fa male anche quando non è diabete

Un livello di glicemia materna anche di poco superiore al normale, ma inferiore al limite previsto per la diagnosi di diabete gestazionale, si associa comunque ad eventi negativi nella gravidanza. Fra questi, oltre alla macrosomia fetale, anche un aumento dei parti cesarei, danni alla nascita e persino distocie della spalla.

Lo afferma un ampio studio internazionale pubblicato sul New England Journal of Medicine e coordinato da Boyd E. Metzger per conto del gruppo Hapo (Hyperglycemia and adverse pregnancy outcomes). Spiega Metzger

“L’obiettivo dello studio era di stabilire in che modo i rischi associati al diabete gestazionale sono effettivamente riconducibili al livello di zuccheri nel sangue. In sostanza abbiamo isolato il dato della glicemia da fattori confondenti quali l’obesità, l’età della madre o la presenza di ipertensione. Ci siamo detti: se la risposta alla nostra domanda è che la relazione esiste, allora quanto alta deve essere la glicemia perché il rischio si manifesti?».

Lo studio Hapo ha coinvolto quasi 24mila donne in gravidanza, facenti capo a 15 centri diversi in nove Paesi (in America, Europa, Caraibi, Medio Oriente, Asia, Australia). Tutte sono state sottoposte, tra la 24esima e la 32esima settimana di gestazione, al test da carico per la tolleranza al glucosio con 75 grammi di zucchero. Sono state escluse dal follow-up le donne con parametri di glicemia tali da consentire la diagnosi di diabete gestazionale franco.

Gli outcome primari erano un peso alla nascita superiore al 90esimo percentile per l’età gestazionale, il ricorso al parto cesareo, una diagnosi clinica di ipoglicemia neonatale e una concentrazione di proteina C nel cordone ombelicale superiore al 90esimo percentile (che ben si correla con i livelli di isulinemia fetale). Gli outcome secondari erano il parto prematuro (inteso come precedente la 37esima settimana di gestazione), la distocia della spalla o un danno durante il parto, la necessità di ricorrere a cure intensive neonatali, l’iperbilirubinemia e la preeclampsia. Conclude Metzger

“I risultati dimostrano che c’è una relazione lineare tra glicemia e aumento del rischio, senza un vero e proprio valore limite. Per aumenti paria 1 deviazione standard nei livelli di glucosio plasmatico a digiuno e 1 e 2 ore dopo il carico, il rischio di partorire un bambino di peso superiore al 90esimo percentile o con proteina C nel sangue cordonale sopra il 90esimo percentile aumenta del 40%, anche dopo aver depurato i dati dai diversi fattori confondenti. Anche tutti gli altri outcome mostranoli una relazione lineare con i livelli glicemia” .

Gli esperti rimangono così con una domanda priva di risposta: a partire da che livello di glicemia è utile intervenire? La questione è però importante solo per il medico internista che ha in cura la paziente durante la gravidanza e che ha non solo l’obiettivo di portarla a un parto il più possibile privo di rischi, ma anche di evitare che, una volta archiviata l’epoca della maternità, possa sviluppare un diabete franco, specie in età avanzata.

Dal punto di vista strettamente ostetrico, invece, basta sapere che la paziente ha un’intolleranza al glucosio, non importa di che entità, per mettere in atto alcune misure di prevenzione durante il parto e per eventualmente valutare l’opportunità di ricorrere a un cesareo programmato invece che d’urgenza.