Nello spazio di una generazione, l’approccio dei medici nei confronti del diabete è cambiato.
«La famiglia è sempre più coinvolta, da tempo ormai le è richiesto di divenire protagonista propositivo e attivo della cura»
spiega Riccardo Schiaffini, diabetologo pediatra presso il Servizio di diabetologia pediatrica dell’Irccs Ospedale Bambino Gesù di Roma che come specialista, ha imparato a ritagliarsi un ruolo diverso: quello di educatore, motivatone e consulente. Il paragone più spesso citato è quello dell’allenatore di una squadra o di un atleta. Non è una delega, quanto il riconoscimento di una situazione di fatto.
«Questo è l’approccio che — sul breve e sul lungo termine — dona i migliori risultati»
conferma Schiaffini. Nello stesso arco di tempo però la famiglia è cambiata. E’ più flessibile, forse più libera
«ma anche più insicura e affaticata»
prosegue Schiaffini. Ormai in molte famiglie ambedue i genitori lavorano a tempo pieno, nonni e parenti vivono lontano, separazioni e divorzi rendono la famiglia anche strutturalmente più fragile. Annalisa Saggio, psicologa presso il Centro di Diabetologia Pediatrica dell’Azienda Policlinico di Catania conferma:
«Davanti alle necessità poste dall’esordio del diabete nel figlio, la famiglia spesso trova e mobilita al suo interno energie e ricchezze che non sapeva di avere. Coppie o famiglie che si percepivano fragili trovano nella risposta data alla ‘sfida-diabete’ motivi di autostima e di rafforzamento»
Certo capita anche il contrario. Il diabete può esordire in famiglie già deboli o in famiglie felici ma complesse e allargate.
«Non è detto che la separazione peggiori automaticamente la gestione del diabete»
continua la Saggio
«in tutte le coppie il ruolo operativo primario è affidato ad uno dei due genitori, quasi sempre la madre»