C’è un’origine chimica nel disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività (DDAI o ADHD, l’acronimo inglese). Lo ha stabilito per la prima volta uno studio del Brookhaven National Laboratory di New York. che si è avvalso delle tecniche di visualizzazione dell’attività cerebrale (brain imaging). La ricerca, pubblicata sul giurnal of American Medical Association, ha dimostrato che i pazienti che soffrono di deficit di attenzione e iperattività hanno livelli più bassi rispetto alla normalità di alcune proteine essenziali per sperimentare la motivazione e la ricompensa. Ha commentato Nora Volkow, prima autrice dello studio
“un passo importante nella cura del deficit dell’attenzione e iperattività perché spiega alcuni sintomi clinici del disturbo, come la mancanza di motivazione e anche la propensione di questi soggetti ad abusare di droghe e a diventare obesi, perché tendono a cercare compensazioni”
Il team della Volkow ha analizzato 53 adulti con ADHD che non avevano mai ricevuto alcuna terapia farmaceutica e 44 adulti in salute. Hanno misurato tramite Pet (tomografia con emissioni di positroni) i marcatori del sistema doparninico, regolatore dell’umore, in particolare due proteine, dopamina recettori e trasportatori, senza i quali la dopamina non può funzionare concretamente, e cioè non è in grado di influenzare l’umore. I pazienti con ADHD hanno mostrato bassi livelli di entrambe le proteine nelle due aree conosciute come nucleo accurribens e medio cervello, responsabili delle emozioni e delle sensazioni di motivazione e ricompensa.