I pericoli della Sindrome dell’apnea ostruttiva nel sonno

La Osas o sindrome dell’apnea ostruttiva nel sonno colpisce oltre 1.600.000 italiani. Si tratta di un vero e proprio disturbo del sonno che si presenta con sintomi quali russamento abituale, apnee notturne cui si accompagnano improvvisi risvegli notturni associati a una angosciante sensazione di soffocamento, cefalea mattutina, sonnolenza diurna e riduzione della concentrazione e dell’attenzione. A causare i sintomi sono episodi di ostruzione delle vie aeree superiori che si verificano durante il riposo notturno.

E’ proprio la riduzione di attenzione e concentrazione a mettere in allarme gli studiosi del Cnr di Palermo che stanno dedicando all’argomento un ampio ventaglio di studi e ricerche. Questi sintomi infatti farebbero della sindrome un problema di salute pubblica dal momento che possono costituire un fattore di rischio per chi durante il giorno si mette alla guida di un veicolo, proprio come se questo fosse sotto l’effetto di alcol o droga diventando così un pericolo per se e per gli altri. Questo è quanto afferma Domenico Geraci, direttore dell’Istituto di biomedicina e immunologia molecolare (Ibim) del Cnr di Palermo. E i dati parlano chiaro. Uno studio del 2001 rileva che il 21% degli incidenti autostradali nel periodo 93-97 fu causato dalla sonnolenza, dato confermato da un’indagine del Ministero della salute secondo la quale dietro la metà degli incidenti causata da uno stato di sonnolenza si nasconde l’Osas.

Inventato il casco che ringiovanisce il cervello

Gordon Dougal, della compagnia di ricerca Virulite ha inventato il casco che ringiovanisce le cellule cerebrali. Non si tratta tuttavia di un casco come quelli che si indossano per proteggere il capo dagli urti violenti quando si va in moto. Anzi gli studiosi inglesi che lo hanno messo a punto, testandolo prima su cavie di laboratorio, lo hanno definito elmetto “risana neuroni” infatti sembra che sia in grado, se indossato 10 minuti al giorno per 4 settimane, di riparare i neuroni danneggiati dai processi degenerativi come quelli che intervengono nelle demenze. In otto casi di demenza su 10 si è rivelato efficace.

La realizzazione di questo singolare strumento si basa su uno studio condotto presso l’ università di Sunderland in Inghilterra condotto per testare l’efficacia degli infrarossi nel migliorare la memoria dei topi. Secondo gli studiosi le onde luminose a bassa frequenza sarebbero in grado di stimolare la crescita dei neuroni e quindi limitare i sintomi di malattie neurodegenerative fortemente invalidanti come la Demenza di Alzheimer , per questo motivo la scoperta ha acceso la speranza dei malati di Alzheimer inglesi pur con la consapevolezza che la sperimentazione è solo all’inizio. E d’altra parte, come ammette lo stesso Dougal, tutto quello che si può fare adesso è rallentare i processi di decadimento neuronale.

Mangiare sano per…diventare ricchi!

C’era una volta un povero contadino, che un giorno si disse:
“Ne ho abbastanza della mia povertà. Devo andare per il mondo e forse farò fortuna”…

Non sapeva il contadino protagonista di questa fiaba serba, che non vi racconterò, che stando all’ennesimo studio proveniente dagli Stati Uniti, avrebbe potuto restarsene a casa propria e diventare ugualmente ricco semplicemente mangiando in maniera più sana. Infatti sembra che mangiare sano faccia bene a tutto, ma proprio a tutto. Dopo aver appreso che le cattive abitudini alimentari sono alla base di moltissime forme tumorali e patologie oggi largamente diffuse come cardiopatie obesità e diabete adesso siamo davanti a una scoperta che avrebbe del sensazionale: un regime dietetico sano ed equilibrato fa bene anche al portafogli.

Un’alimentazione fondata sul giusto apporto di proteine, carboidrati, minerali e vitamine nei primi tre anni di vita favorirebbe lo sviluppo di adeguate capacità di apprendimento e quindi amplierebbe le possibilità di aspirare ad un lavoro migliore. Sarebbe questa la conclusione di uno studio iniziato in Guatemala fra il 1969 e il 1977 che ha coinvolto circa 1500 bambini di quattro villaggi differenti. I ricercatori guidati da John Hoddinott, dell’International Food Policy Research Institute (Ifpri) di Washington, avrebbero rilevato che i bambini guatemaltechi che durante i primi tre anni di vita erano stati nutriti con bevande arricchite di proteine e altre sostanze nutritive una volta divenuti adulti guadagnerebbero il 46% in più degli altri.

Indossare i tacchi a spillo fa bene (almeno!) all’eros

I tacchi a spillo si sa, non passano mai veramente di moda. Croce e delizia di tutte le donne che li indossano per apparire al massimo della forma, più alte, slanciate e seducenti, tornandosene la gran parte delle volte a casa con un gran mal di testa, dopo anni di attachi vengono finalmente riabilitati da una ricerca tutta italiana che va in controtendenza rispetto ai precedenti e già noti studi che ascrivono a questo tipo di calzatura la responsabilità di un gran numero di patologie. L’ urologa italiana Maria Cerruto, dell’Università di Verona, ha condotto una ricerca, pubblicata sulla rivista European Urology, che le ha permesso di scoprire che portare i tacchi a spillo migliora la tonicità dei muscoli pelvici, coinvolti, fra l’altro, nell’orgasmo. I muscoli pelvici, grazie alla posizione assunta dal piede che indossa una scarpa col tacco alto si rilasserebbero diventando allo stesso tempo più forti e più capaci di contrarsi.

L’urologa italiana, che ha confessato al giornale londinese Sunday Times di essere lei stessa un’amante dei tacchi a spillo, è giunta a questa conclusione dopo aver analizzato un campione di 66 donne al di sotto dei 50 anni. L’analisi condotta ha mostrato che le donne che tenevano i piedi con angolatura di 15 gradi dal pavimento, la stessa che presenta il piede quando si indossano scarpe con tacco alto 7 cm (non stiamo quindi parlando di “trampoli”), mostravano una riduzione del 15% dell’attività dei muscoli pelvici. Questo dato, come riferisce la studiosa, rappresenta un indizio di un miglior funzionamento di questa parte del corpo e, di conseguenza, la possibilità di sperimentare più intensamente l’orgasmo.

Spermatozoi dal midollo osseo femminile. Non avremo più bisogno degli uomini per avere bambini

Arriva dall’Inghilterra la singolare notizia pubblicata dal settimanale britannico New Scientist secondo la quale un’equipe di scienziati inglesi dell’università di Newcastle Upon Tyne, dopo essere riuscita a trasformare cellule staminali maschili estratte dal midollo osseo in spermatozoi, avrebbe trovato il modo di fare lo stesso con le cellule staminali provenienti dal midollo osseo femminile. A guidare l’equipe di studiosi è il professor Karim Nayernia, biologo di origine iraniana, che si dice convinto di poter ottenere le prime cellule spermatiche femminili entro due anni. Contestazioni etiche a parte, secondo gli studiosi la scoperta potrebbe rappresentare un’eccezionale arma contro l’infertilità.

Le implicazioni culturali e sociali di questa scoperta sono notevoli e bisogna ammettere che essa apre uno scenario a dir poco fantascientifico. Infatti se davvero fosse possibile ottenere spermatozoi dal midollo osseo femminile le donne in futuro potrebbero avere dei figli in maniera del tutto autonoma, senza il coinvolgimento di alcun partner maschile, grazie allo sperma estratto dalle proprie cellule che sarà usato per fecondare gli ovuli. E non è tutto: Karim Nayernia sostiene che anche le cellule del midollo maschile potranno essere convertite in ovuli, permettendo anche agli uomini di concepire (perlomeno dopo aver trovato un utero “in affitto”) ricorrendo esclusivamente a spermatozoi e cellule uovo autoprodotte.

Doping genetico: un futuro prossimo

 

Al momento non ci sono al mondo atleti che utilizzano il doping genetico, però tutti sono convinti, ed in particolar modo la World Anti-doping Agency (Wada) di Montreal, che in qualche laboratorio si sta provando a sperimentare procedure di trasferimento di materiale genetico o di fattori di crescita per ottenere un potenziamento della prestanza muscolare.

 

Questa convinzione ha spinto la WADA a finanziare il Laboratorio di medicina molecolare dell’università di Trieste, insieme all’Università di Firenze, di Milano e il Cnr di Pisa, per sviluppare, nell’arco di tre anni, metodi che consentano di riconoscere il doping genetico attraverso la rilevazione, nel sangue o nelle urine, di marcatori specifici. L’interesse della Wada è per un gene che esercita un effetto ipertrofizzante anche sulle cellule muscolari.

 

La mia competenza nel campo delle malattie genetiche – spiega Marcello Arca, Dipartimento di Clinica e terapia medica dell’Università di Roma La Sapienza mi ha spinto a proporre alla commissione uno studio per valutare in vitro metodologie applicabili per individuare manipolazioni genetiche finalizzate ad aumentare le prestazioni fisiche. Fondamentalmente l’ approccio è quello di realizzare applicazioni della terapia genica che consentano di introdurre nel paziente materiale genico proveniente da un altro organismo o costruito in laboratorio. Una procedura che può essere usata anche per fini dopanti, trasferendo fattori di crescita o altro materiale genico nell’ atleta“.

Siete molto felici? Attenti, troppa felicità può nuocere alla vostra salute!

Secondo una ricerca condotta da tre univeristà statunitensi (Virginia, Illinois e Michigan) e pubblicata sulla rivista scientifica “Perspectives on Psychological Science”, per raggiungere una buona qualità di vita e riuscire in campo economico, sociale e relazionale occorre essere “felici, ma non troppo“. Secondo questo studio infatti le persone che sperimentano un alto grado di felicità sono poco propense ad agire, perchè temono di perdere l’equilibrio perfetto che hanno creato intorno a sè.

Dallo studio è emerso che le persone che risultano felici in un percentuale dell’80-90% riescono meglio in ogni campo delle persone che si ritengono felici al 100%. Hanno più probabilità di avere buoni legami affettivi, redditi più alti, un’istruzione più elevata sono maggiormente affermati a livello sociale. A questo dato sorprendente si aggiunge, la constatazione, forse ancora più sorprendente, che essere troppo felici influisce negativamente
anche sulla salute fisica.

L’ipnosi per alleviare i dolori del tumore

Sempre più utilizzate, negli ultimi tempi, sono le avanzate tecniche di ipnosi effettuate da medici specializzati nel settore, per calmare i forti dolori provocati dal cancro e per regalare ai pazienti affetti da questa devastante malattia, una vita un po’ più serena.

A sostegno di queste avanzate tecniche troviamo Christina Liossi, professoressa dell’ University of Wales nel Galles. Liossi sostiene che l’ipnosi ha un elevato potenziale terapeutico tutt’ora ancora non sfruttato appieno. L’ipnosi, dice, è già stata utilizzata per smettere di fumare, per perdere peso o per combattere ansie e fobie e sarà utilizzata sempre di più negli anni avvenire.

Abbiamo le prove scientifiche dice la professoressa, che l’ipnosi aiuta a calmare la depressione, nausee, vomito e forti dolori causati dal cancro; stiamo anche constatando, grazie alla ricerca, che l’ipnosi possa allungare la vita dei pazienti affetti dalla patologia, ma per adesso non possiamo dimostrarlo scientificamente.

La Liossi, poi, ricorda il tema trattato durante la conferenza annuale della British Association for Association of Science, e dice che l’ipnosi è molto importante per influenzare il sistema immunitario. Studiando i bambini affetti da cancro, è stato scoperto che, chi era stato ipnotizzato in precedenza, con l’assunzione di un anestetico locale, ha sentito molto meno dolore, durante l’intervento, dei pazienti che non erano stati ipnotizzati.

Il cuore bioartificiale: una nuova scoperta scientifica ed i possibili risvolti

L’Università del Minnesota ha condotto un esperimento, per ora solamente su topi e suini, dando vita al primo cuore bioartificiale, che vive e batte senza bisogno di essere legato ad un corpo. Sembra un film di fantascienza invece è tutto vero. Il processo si chiama decellularizzazione e consiste nel togliere cellule dal cuore dell’animale morto con l’uso di composti chimici. A questo punto lo scheletro proteico è stato quindi ripopolato con cellule staminali cardiache.

Quattro giorni dopo, le cellule hanno cominciato a contrarsi e dopo otto giorni, i cuori bioartificiali di topi e maiali, hanno cominciato a battere. “Quando abbiamo visto che il cuore cominciava a battere siamo rimasti senza parole”, ha scritto uno dei ricercatori, Ott Still, su Nature Medicine. Secondo Doris Taylor, direttrice del centro per la Ricostruzione Cardiaca dell’Università del Minnesota, è un passo essenziale sulla via dei trapianti soprattutto per chi è in attesa da anni. Rappresenta un punto di partenza per la creazione non soltanto di cuori artificiali ma anche di vasi sanguigni e altri organi. La scoperta potrebbe segnare una svolta, mettendo fine alla cronica mancanza di donatori che mette a rischio milioni di persone.

Soltanto negli Stati Uniti circa cinque milioni di persone soffrono di scompenso cardiaco ed altri 550,000 nuovi casi vengono diagnosticati, purtroppo 50,000 persone ogni anno muoiono aspettando un trapianto di cuore. La scoperta lascia anche prevedere un futuro in cui tutti gli organi necessari potranno essere creati in laboratorio. Con un pregio enorme: il cuore bioartificiale riduce di molto il rischio di rigetto perché ricreato con le cellule staminali del paziente stesso.

Longevità e anti-tumorali: whisky e cipolle contro i radicali liberi

La donna più anziana d’Inghilterra svela il segreto della sua lunga vita: whisky e cipolle bollite in abbondanza. Ha appena compiuto il suo 110° compleanno, si chiama Minnie Smith ed è diventata la nonna più anziana dell’Inghilterra, ha anche ricevuto gli auguri speciali dalla regina Elisabetta. E’ nata nel 1898 e ha visto 3 generazioni, 6 Re e 21 Ministri.

La sig.ra ha fatto uso regolare di whisky e cipolle bollite. Il whisky, allo stesso modo del vino, riesce ad avere effetti positivi sulla salute, tra i quali favorire la longevità. Si pensi che in italiano la parola whisky assume il significato di acquavite. La possibilità di accertare tali affermazioni proviene dal fatto che durante la fase di distillazione del whisky si produce l’acido ellagico, un antiossidante (polifenolo) che si trova anche in numerosi frutti e molte verdure come lamponi, mirtilli, fragole, noci, pesche e melograni.

L’acido ellagico possiede alcune proprietà anti-cancro, agisce come un antiossidante contro i radicali liberi, ovvero quelle cellule cancerogene che riescono a sostituire le cellule sane con quelle malate. Sarebbero proprio i distillati di malto di orzo a riuscire a provocare l’apoptosi, cioè la morte cellulare: in prove di laboratorio, esposte a un convegno che si è tenuto presso la capitale del whisky, la Scozia, si è dimostrato come tali sostanze causano l’apoptosi di cellule tumorali. Quindi l’acido ellagico può risultare utile per la prevenzione, in quanto previene lo sviluppo di cellule cancerogene, e la cura delle stesse poiché le distrugge. Inoltre il whisky al solo malto contiene più acido ellagico del vino rosso.

Infarto e aneurisma. Dopo la scoperta di un gene comune vediamo come è possibile prevenirne l’insorgenza

E’ stata diffusa recentemente la notizia della scoperta di un gene comune alle malattie cardiovascolari quali infarto e aneurismi intracranici e addominali pubblicata dalla rivista Nature Genetics.
A capo del gruppo di lavoro internazionale che ha condotto le ricerche, del quale fanno parte anche alcuni studiosi italiani, l’islandese Kari Stefansson. Tale scoperta segna un progresso decisivo nella costruzione di una banca dati che permetterà di rendere sempre più efficaci le azioni di prevenzione e cura delle patologie cardiovascolari.

In attesa che la scienza compia ulteriori progressi nello studio delle basi genetiche di questo tipo di patologie vediamo come è possibile tutelarsi dal rischio di svilupparle adottando alcune semplici abitudini di vita e alimentari, efficaci anche nel caso di predisposizione genetica (la quale, infatti, non implica la certezza che l’individuo geneticamente predisposto svilupperà la malattia)

Alla base di malattie cardiovascolari come aneurisma e infarto troviamo infatti l’aterosclerosi, un’infiammazione cronica delle arterie che spesso si sviluppa a causa dell’esposizione a numerosi fattori di rischio. Oltre a ipertensione, diabete, malattie genetiche molto rare, età, sesso maschile e predisposizione familiare è ampiamente accertato che rappresentano fattori di rischio per lo sviluppo dell’aterosclerosi scorrette abitudini alimentari che possono portare all’eccesso di colesterolo e/o trigliceridi nel sangue (iperlipidemia), il fumo di sigaretta, la vita sedentaria, l’obesità, lo stress, il consumo eccessivo di alcool.

Diossina e rifiuti in Campania: a febbraio un biomonitoraggio per valutare gli effetti degli inceneritori e dei roghi domestici

Il CNR, Consiglio Nazionale delle Ricerche, effettuerà a febbraio uno studio/indagine in 13 Comuni tra le province di Napoli e Caserta. Uno studio che per l’ampiezza del campione non conosce precedenti nella nostra nazione e anche a livello internazionale si qualificherà come una delle indagini più estese tra quelle effettuate fino ad ora.

Lo studio chiamato SEBIOREC, Studio Epidemiologico Biomonitoraggio Regione Campania, è stato finanziato dalla Regione Campania e verrà realizzato dall’Istituto Superiore di Sanità insieme all’IFC-CNR, l’Istituto di Fisiologia Clinica del Consiglio Nazionale delle Ricerche, dall’Osservatorio Epidemiologico e dal Registro Tumori presso la Asl Napoli4 più cinque tra le Aziende Sanitarie Locali della Regione Campania.

Il campione utilizzato dal SEBIOREC coinvolgerà 830 persone tra 13 comuni di Napoli e Caserta, su 780 di queste verranno prelevati campioni di sangue mentre su 50 donne sarà prelevato latte materno al fine di controllare il livello di diossine e di metalli pesanti in essi contenuto. Tale campione sarà formato casualmente e in maniera proporzionale rispetto alla popolazione locale e sarà compreso in una fascia d’età tra i 20 e i 64 anni. Mentre i 13 Comuni saranno scelti in base al diverso livello di rischio ambientale. Le area a rischio sono state già valutate e identificate precedentemente con un’indagine epidemiologica nella Regione Campania realizzata per via dell’allarme lanciato dalla Protezione Civile sull’inquinamento da rifiuti di questa regione.